Il 
            progetto di Dio 
             
                  È uno dei principi fondamentali 
            della visione cristiana del mondo la persuasione che gli eventi della 
            storia del mondo e della nostra storia personale non si seguono in 
            un cieco e caotico disordine. Il creatore continua ad operare nell'universo, 
            lo conduce con mano forte e tenera verso un valore in cui si compiace 
            da tutta l'eternità. La nostra fede non sarebbe vera fede se non potessimo 
            dire, anche nelle situazioni più incomprensibili: «Tutto ha fatto 
            con saggezza!» (Sal 104,24). 
                  Ora, 
            il valore verso cui Dio conduce il mondo, «il mistero della sua volontà 
            secondo quanto nella sua benevolenza aveva prestabilito per realizzarlo 
            nella pienezza dei tempi» (Ef 1,9s), è quello di «edificare il corpo 
            di Cristo, finché arriviamo tutti allo stato di uomo perfetto, nella 
            misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13). 
                  Il 
            progetto di Dio è dunque la nostra salvezza, da costruirsi già sulla 
            terra, e che si manifesterà in pieno splendore nella gloria della 
            vita eterna. Questa salvezza, il «regno di Dio», in prima linea 
            è «in mezzo a noi» e in noi stessi (cf Lc 17,21), ma è destinato a 
            realizzarsi attraverso di noi in tutto l'universo, in quanto per la 
            vita dei figli di Dio si trasforma l'universo 
            in quel «regno di verità e vita, regno di santità e grazia, regno 
            di giustizia, di amore e di pace», di cui la liturgia parla, che tutto 
            l'universo aspetta quasi «nelle doglie del parto» (Rm 8,22). Il progetto 
            di Dio è dunque che l'uomo, diventando di nuovo immagine di Dio sulla 
            terra in senso pieno, riporti a Dio se stesso e l'universo intero, 
            «riconoscendo in Lui il Creatore di tutte le cose, in modo che, nella 
            subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome 
            di Dio su tutta la terra» (Gaudium et spes, n. 34). 
Il 
              paradosso della salvezza  
                   
            Ora 
            la salvezza ha due aspetti complementari che a prima vista sembrano 
            essere opposti: essa è un dono gratuito di Dio, e un'opera dell'uomo. 
                   Anzitutto, 
            è un dono. L'esperienza fondamentale della comunità apostolica è stata 
            infatti la gioia, che Dio ci ha strappati da quella situazione di 
            morte in cui siamo nati, e ci ha trasferiti in uno stato di vita, 
            di luce, di pace (cf per es. Ef 2,1-22; Col 1,21-22). Questo cambiamento 
            non era certo opera delle forze umane: «per grazia infatti siete stati 
            salvati», annuncia S.Paolo ai credenti (Ef 2,5). 
                   Il 
            discepolo di Cristo si guarda meravigliato e stupito, come un mendicante 
            che si sveglia immerso in ricchezza e pompa: «Quale grande amore ci 
            ha dato il Padre, per essere chiamati figli di Dio! e lò siamo veramente!... 
            Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo, non 
            è stato ancora manifestato...» (1 Gv 3,1-3). 
                   Infatti, 
            se abbiamo trovato accesso al Padre, se Dio ci trova giusti, se possiamo 
            aspettare la vita eterna come nostra eredita, cio non e dovuto alle 
            nostre opere buone, alle nostre qualità lodevoli, ma per mezzo di 
            Cristo che ci ha riconciliati per il suo sangue (Tt 3,3-7). 
                   Eppure, 
            l'atteggiamento per cui l'uomo entra nel Regno, non e una passivita, 
            ma una attività radicale, intensa e difficile: la fede. La via della 
            salvezza, è la fede (Gv 8,24); anzi, la vita eterna stessa è fede 
            (Gv 17,3). Sappiamo bene, che questa fede, radice e fondamento della 
            salvezza, non consiste esclusivamente nell'accettare asserti rivelati 
            come veri, ma è l'abbandono di noi stessi, con cui interamente e liberamente 
            ci affidiamo al Padre e ubbidiamo al Padre (cf Dei Verbum, n. 5); 
            essa non è viva e perfetta, finché non «opera per mezzo della carità» 
            (Gal 5,ó). La fede viva implica l'osservanza dei comandamenti (Gv 
            14,15), e porta il credente a «seguire Gesù» secondo tutte le esigenze 
            radicali del Vangelo (cf Mc 10,21). La salvezza pone esigenze così 
            dure che i discepoli, stupefatti e sbigottiti, dicevano tra loro: 
            «E chi mai potrà salvarsi?» (Mc 10,26), e il Maestro, pur tanto mite 
            e dolce, conferma che la salvezza è impossibile alle forze umane (Mc 
            10,27). 
                   La 
            salvezza, dunque, è un dono, ma è anche risultato di una attività 
            impegnante. La reazione spontanea della ragione umana a questi paradossi 
            è scegliere un aspetto, e assolutizzarlo, sotto il pretesto di 'prenderlo 
            sul serio', fino al punto di negare l'aspetto complementare opposto. 
            È sempre questa la via delle 'eresie', delle scelte unilaterali le 
            quali tradiscono la fede non tanto affermando il falso, ma piuttosto 
            esasperando una verità parziale. Nella teologia della salvezza, la 
            storia del pensiero cristiano conosce due di queste eresie opposte: 
            il pelagianesimo e il protestantesimo, tendenze che non restano solamente 
            eventi storici, ma sono tentazioni sempre in agguato a ciascuno che 
            vuole comprendere la 'parola di salvezza' risonante nell'annuncio 
            della Chiesa. 
                   Il 
            pelagianesimo da sempre ricorda che la salvezza non è il dono di un 
            oggetto estraneo, ma un cambiamento del soggetto stesso: infatti non 
            posso essere amico, figlio e erede di Dio, finché non accetto di esistere 
            in modo filiale, amicale, cioè finché non amo Dio con tutto il cuore, 
            con tutta l'anima e con tutta la mente; e questo amore non è sincero 
            se non si manifesta nella vita concreta e quotidiana, nell'amore del 
            prossimo, nell'osservanza dei precetti, nella sequela di Cristo. 
            E se questa presa di posizione radicalmente intensa, che estende le 
            sue esigenze su tutta l'esistenza, è necessaria alla salvezza, deve 
            essere possibile a ciascuna persona umana. Ma se questa verità viene 
            affermata in modo così unilaterale da far negare che tutti siamo segnati 
            dal peccato primordiale, e che abbiamo bisogno non solo di Gesù maestro, 
            che Ci insegna e ci guida con la sua testimonianza, ma anche di Gesù 
            che ci redime infondendoci la sua grazia, grazia di cui abbiamo bisogno 
            non solo per fare più facilmente la volontà di Dio ma nel senso assoluto 
            per poter farla, in questo caso, la verita deformata diventa eretica, 
            e come tale è stata respinta da una serie di Concili in cui la Chiesa 
            inneggiò alla grazia, assolutamente necessaria per la salvezza, gratuitamente 
            concessa da Dio per Cristo Salvatore. 
                   Il 
            luteranesimo, sempre in agguato, vuole esaltare la forza della grazia 
            negando alla natura umana decaduta ogni possibilita di collaborare 
            liberamente con essa. Il nostro ruolo non sarebbe che quello di riconoscere 
            il proprio fallimento e di aver fiducia in Dio che, nonostante la 
            nostra totale indegnità, ci abbraccia: una fiducia, che minaccia di 
            oscurare la necessità e la possibilità di una vera conversione a fare 
            la volontà di Dio. Questo abbandono alla grazia finisce a misconoscere 
            la forza della grazia che in verità non ci concede solamente una amnistia, 
            ma ci cambia, ci fa rinascere, opera una nuova creazione, non ci tratta 
            solamente da figli, ma ci fa vivere da figli. 
                   Se 
            si trattasse di una collaborazione tra due creature, si potrebbe separare 
            ciò che è l'effetto dell'una e ciò che è contributo dell'altra. Dio 
            però, proprio perché opera nell'interiorita della sua creatura donandole 
            l'esistenza, l'agire e l'efficacia, si serve della volontà umana come 
            di suo strumento. Tutta la salvezza è opera di Dio, e tutta la salvezza 
            è risultato dell accoglienza umana. Dio appunto opera producendo, 
            mantenendo, conducendo ai termine la libera adesione al suo progetto 
            di salvezza. Questa interiorità dell'azione divina viene espressa 
            dalla frase di S. Paolo, secondo cui sono figli di Dio coloro che 
            sono mossi dallo Spirito Santo (Rm 8,14). 
Il 
              progetto di Dio, eseguito dallo Spirito  
                  Secondo 
            il Concilio Vaticano II, noi procediamo nella via della salvezza, 
            in quanto lo Spirito Santo «muove il cuore e lo rivolge a Dio, apre 
            gli occhi della mente e dà a tutti dolcezza nel consentire e credere 
            alla verità» (Dei Verbum, n5). 
                   Nessuno 
            può accettare Cristo come Signore, cioè come cardine e norma della 
            propria esistenza, senza l'opera creatrice dello Spirito Santo (1 
            Cor 12,3); nessuno può rivolgersi con piena fiducia e incondizionata 
            ubbidienza al Padre, se non riceve lo spirito filiale in virtù dello 
            Spirito Santo (Gal 4, 6; Rm 8, 15). Anzi, già i primi passi verso 
            la riconciliazione sono opera dello Spirito Santo che ci attira, ci 
            muove, ci fa cercare, prima ancora che abiti in noi. L'uomo da solo 
            non potrebbe fare nulla in ordine alla salvezza (Gv 15,4-ó); nessuno 
            può awicinarsi a Gesù Salvatore e Redentore se non è attratto al Padre 
            (Gv 6,44), con quell'attrazione che è appunto l'influsso dello Spirito. 
            Certo, per la nostra conversione ci vuole l'annuncio delle grandi 
            certezze della fede e delle motivazioni della carità, e quest'annuncio 
            deve essere adattato alle persuasioni e agli apprezzamenti già accettati 
            da coloro ai quali si rivolge: come si potrebbe credere alla Parola, 
            senza che essa fosse annunciata (Rm 10,14-17)? Ma il piantare e l'irrigare 
            di queste certezze, di questi apprezzamenti, non ottengono nulla se 
            Dio non li fa crescere (1 Cor 3,8-9); perciò l'apostolo non si limita 
            ad annunciare la Parola; egli prega per i suoi ascoltatori perché 
            la loro carità «si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni 
            genere di discernimento», per «essere integri e irreprensibili per 
            il giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia, che si ottengono 
            per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio» (Fil 1,9-1 1). 
                   Perciò, 
            la salvezza in ultima analisi resta inintelligibile per un intelletto 
            umano non illuminato dalla luce interiore e soprannaturale dello Spirito.
 
               
                «Noi 
                  non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di 
                  Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato... L'uomo naturale 
                  però non comprende le cose dello Spirito di Dio, esse sono follie 
                  per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare 
                  solo per mezzo dello Spirito di Dio...» (ICor. 2, 12-15). 
               
             
                   
            La vita corporale 
            è una serie di processi, in cui ciascun cambiamento trova la sua causa 
            adeguata in fattori materiali, fisici e chimici. L'anima non interviene 
            nella catena delle reazioni, non sostituisce queste cause, non cambia 
            le reazioni materíali. Eppure, senza l'anima, questi processi non 
            si verificano. Così lo Spirito di Dio ci 'anima', ci penetra, ci fa 
            esistere, vivere e muoverci, non rompendo la continuità della nostra 
            vita psichica, ma facendo sì che essa si svolga su un piano superiore, 
            inaccessibile alle sole forze umane, e sbocchi nella vita eterna. 
            
Una 
              collaborazione progressiva  
                  L'annuncio 
            tradizionale della Chiesa mette in evidenza che il progetto di Dio 
            si realizza diversamente negli angeli e negli uomini. Gli angeli, 
            puri spiriti, hanno impegnato l'intera esistenza nella luce della 
            verità contemplata per il valore che hanno scelto, e perciò la loro 
            prova si svolgeva in un solo attimo. L'uomo è un essere corporale, 
            e la sua vita si svolge nel modo connaturale alla materia, cioè per 
            una scelta libera, che si svolge però progressivamente nel tempo, 
            è immersa nella storia. 
                   Dio 
            ci salva, adattandosi alla nostra natura, da Lui stesso costruita, 
            e perciò la nostra salvezza viene maturata per un arco di tempo che 
            impegna tutta la nostra vita. Il Concilio di Trento descrive con attenzione 
            ammirata questo processo in cui la nostra collaborazione con la grazia 
            dello Spirito Santo diventa piena e definitiva. 
                   Il 
            peccatore non è ancora vivificato dalla grazia. L'impulso dello Spirito 
            gli giunge come una chiamata dal di fuori: pur risonante nella sua 
            interiorità, è una attrattiva, una spinta, una illuminazione lenta, 
            una ispirazione di buoni sentimenti, 
            per cui il peccatore è inclinato a convertirsi, diventa capace di 
            accogliere o di respingere l'invito alla salvezza. Chi segue la chiamata, 
            si muove liberamente verso Dio, in quanto crede a ciò che è stato 
            rivelato e promesso da Dio, teme di perdere tanti beni, spera di ottenerne 
            il possesso, comincia a dispiacersi della propria situazione, propone 
            una nuova vita, e in tutto ciò, comincia ad amare Dio, come sorgente 
            di ogni giustizia e salvezza.
 
               
                 «Questa 
                  disposizione o preparazione è seguita dalla giustificazione 
                  stessa, la quale non è soltanto remissione dei peccati, ma anche 
                  santificazione e rinnovamento dell'uomo interiore mediante l'accettazione 
                  volontaria della grazia e dei doni, per cui l'uomo da ingiusto 
                  diventa giusto, da nemico amico, e, secondo la speranza, erede 
                  della vita eterna»,  
               
             
                   
            continua 
            il Concilio di Trento (sess. VI, cap. 7). Un nuovo cambiamento, dunque, 
            e questa volta si tratta di un salto qualitativo nella vita cristiana, 
            che si realizza in un determinato attimo: prima di quest'istante, 
            l'uomo pur pentito era ancora peccatore, «figlio dell'ira» (Ef 2,3), 
            e dopo questo momento, la stessa persona è diventata oggetto della 
            compiacenza divina, in cui la Trinità abita come nel suo tempio. Eppure, 
            anche questo salto qualitativo è immerso in una trasformazione continua, 
            progressiva, tanto che non è oggetto di una esperienza diretta. Infatti, 
            già prima della giustificazione, nella psiche del peccatore pentito, 
            vi erano orientamenti timidi e deboli all'amore di Dio e del prossimo; 
            erano soltanto superati o repressi dalle tendenze dell'egoismo terreno 
            e temporale. Dopo la giustificazione, restano in lui le tendenze dell'egoismo 
            immanente, non condizionate dal riguardo ad altri valori, ma dominate 
            ormai dalla scelta deliberatamente incondizionata di accettare la 
            volontà di Dio come norma della propria vita. Si tratta di un cambiamento 
            dell equilibrio, che awiene in un attimo determinato, ma è frutto 
            di un cambio lento e continuo del peso nel piatto della bilancia. 
                   Lo 
            sviluppo verso la salvezza continua anche dopo la giustificazione. 
            Il giusto è chiamato a collaborare ulteriormente con il progetto di 
            Dio, crescendo, costruendo in sé la personalità sempre più conforme 
            con l'idea che il Creatore fin dall'eternità ha avuto di lui. Questo 
            progresso si realizza nell'intirnità e nel profondo dell'esistenza 
            personale, ma è frutto di comportamenti interiori ed esteriori, spirituali 
            e corporali, per cui il discepolo di Cristo segue il suo Maestro e 
            così diventa sempre più discepolo. Questa crescita è destinata a raggiungere 
            quella misura della partecipazione alla vita di Cristo, che sarà il 
            fondamento della beatitudine celeste. 
                   L'unione 
            con Cristo crocifisso sbocca connaturalmente nell'unione con il Cristo 
            glorioso (Rm 6,3-11); il passaggio allo stato definitivo della salvezza 
            non aggiunge una nuova realta alla salvezza anticipata sulla terra, 
            ma permette la percezione inebriante del bene già posseduto nella 
            vita terrestre. 
Collaborazione 
              comunitaria  
                  Secondo 
            una frase spesso citata del Concilio Vaticano II, «Dio volle santificare 
            e salvare gli uomini, non individualmente e senza alcun legame tra 
            di loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse 
            nella verità e fedelmente lo servisse» (LG, n. 9). 
                   Infatti, 
            la riconciliazione crea una solidarietà con la comunione dei santi 
            (Eb 12,23), poiché chi diventa «uno di Cristo», diventa anche uno 
            dei tralci della vera vite (Gv 15,1-2), membro di un solo gregge (Gv 
            10,1-ó), pietra inserita in un edificio (Ef 2,19-22); con altre parole, 
            s'inserisce in un modo nuovo e vivo nella Chiesa. Quest'unione si 
            ha per lo Spirito 
            Santo. Siamo tutti abbeverati dallo stesso Spirito (1 Cor 12,13), 
            e questo 'medesimo Spirito' opera in ciascuno, coordinando la crescita 
            di ognuno al bene e allo sviluppo organico di tutto il corpo mistico 
            di Cristo (cf 1 Cor 12,4-27; Ef 3,ó-12). I membri del Corpo di Cristo 
            sono uniti, non solamente nel loro essere, ma anche nel loro divenire 
            e operare. Dio comincia a chiamarci, e costruisce in noi la salvezza, 
            adoperando come suo strumento, come suo 'sacramento', la Chiesa. «Fuori 
            della Chiesa, non può esistere salvezza», dice una massima formulata 
            nella Chiesa fin dall'inizio dell'età dei Padri. Ciò non significa 
            che nessuno si salva fuori dell'unità visibile della Chiesa, ma che 
            tutti coloro che si salvano, hanno ricevuto le grazie per la mediazione, 
            per l'intercessione, per i meriti, in virtù del sacrificio della Chiesa, 
            che essi forse non conoscono e da cui personalmente non sono conosciuti. 
            D'altra parte, coloro che vivono nella Chiesa, sono chiamati a sviluppare 
            la salvezza ricevuta nel sacrificio (interiore ed esteriore) di tutti 
            gli uomini che sono chiamati a diventare membri vivi della stessa 
            Chiesa: infatti, tutte le nostre opere fatte nell'unione viva con 
            Cristo, hanno un'efficacia in favore degli altri: tutto ciò che facciamo, 
            che soffriamo e che siamo è una cooperazione che supplisce ciò che 
            manca all'azione e alla passione di Cristo, in favore del suo corpo, 
            che è la Chiesa (Col 1,24). 
Come 
              Maria  
                  La 
            collaborazione con il progetto di Dio in noi stessi, è un segreto 
            della vita personale di ciascuno, si svolge in quella profondità in 
            cui Dio aspetta ciascuno, e dove, sotto lo sguardo di Dio, ciascuno 
            decide del suo destino (cf GS, n. 14). Dio ci rivela però un modello 
            di questo processo intimo, nella vita della beatissima Vergine Maria, 
            modello che fa vedere cosa significa collaborare con il progetto divino 
            della salvezza.
 
              
                «Maria 
                  infatti, la quale, per la sua intima partecipazione alla storia 
                  della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i 
                  massimi dati della fede» (LG, n. 65). 
               
             
                   
            Maria è vergine, 
            ed e madre. Pronunciando la parola 'vergine', noi pensiamo soprattutto 
            alla perfezione morale, implicata nella verginità, e riconosciamo 
            come frutto di questa verginità la meravigliosa disponibilità per 
            cui Maria è unita al Signore senza distrazioni (cf I Cor 7,35). Per 
            i membri della prima comunità cristiana pero, che ascoltavano l'annuncio 
            sull'infanzia del Signore, questa verginità doveva significare soprattutto 
            una grande debolezza, l'impossibilità naturale di avere figli, anche 
            figli umani, per non parlare del privilegio sbalorditivo di avere 
            per figlio Dio stesso. Eppure, noi crediamo che la Vergine è veramente 
            Madre, per la quale il Salvatore entrò in questo mondo; poiche, quando 
            la Vergine, consapevole della sua debolezza naturale [ «com'è possibile? 
            non conosco uomo!» ] Si mette a disposizione di Dio nell'orizzonte 
            della fede, si stende su di iei l'ombra della potenza dell'Altissimo 
            (cf Lc 1,34-35). Così comprendiamo che la nostra incapacità naturale, 
            conosciuta e sperimentata, di collaborare con il progetto divino della 
            salvezza, non deve rattristarci, non deve ispirare abbattimento. Infatti, 
            secondo la decisione misteriosa di Dio, la grazia che ci salva si 
            dispiega proprio nella debolezza (cf 2 Cor,: 12,9). Contemplando la 
            'debolezza' della Vergine che non può dare vita ad un figlio, riceviamo 
            la forza di 'vantarci' della nostra debolezza perché dimori in noi 
            la potenza di Dio: quando siamo deboli, accogliendo la nostra debolezza 
            nell'orizzonte della fede, e allora che siamo forti (cf 2 Cor 12,10). 
                   Maria 
            vive la sua maternità verginale, non solo nell attimo del parto, ma 
            attraverso tutto l'arco della sua vita, impegnata nell'assistenza 
            materna. Come Gesu cresce «in sapienza, età e grazia davanti a Dio 
            e agli uomini» (Lc 2,52), così cresce anche Maria. Essa all'inizio 
            'non comprende' completamente il progetto divino riguardo al suo Figlio 
            (cf Lc 2,50), e meditando nel suo cuore gli eventi e la parole di 
            Dio, penetra progressivamente nell'accoglienza della propria vocazione. 
            La convivenza con Gesù, la partenza di Gesù dalla casa nazaretana, 
            la sua morte e nsurrezlone, l pnmordi della Chiesa, continuavano a 
            far progredire la Vergine-madre nella sua collaborazione con il progetto 
            divino di salvezza. Ciò ci aiuta a non essere impazienti, quando constatiamo 
            che in questa vita la costruzione del nostro edificio spirituale non 
            è mai totalmente 'compiuta' (cf Gv 19,30), e ci aiuta ad essere sempre 
            aperti e disponibili nel rettificare le nostre opinioni e nel correggere 
            i nostri comportamenti. 
                   Finalmente, 
            la collaborazione di Maria con il progetto divino della salvezza, 
            in tutto il suo arco, dall'Immacolata Concezione, attraverso la maternità 
            verginale, fino all'Assunzione, si è svolta nel seno della comunità 
            di salvezza. La Madonna ha vissuto i doni ricevuti come mezzo per 
            salvare Israele, come un adempimento delle promesse fatte ad Abramo 
            e alla sua discendenza per sempre (cf Lc 1,54-55); e dando alla luce 
            il Salvatore, essa divenne non solo Madre di Dio, ma anche Madre della 
            Chiesa. 
                   La 
            nostra collaborazione con il progetto di Dio, è una imitazione della 
            collaborazione insuperabile della Madon na, e si realizza, per l'intercessione 
            di Maria, Madre di Dio e Madre nostra.  
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