CON MARIA, LA MADRE DI GESÙ (Atti 1,14)
di Alberto Valentini, s.m.m.

1. NOTA INTRODUTTIVA

1.1. Ambientazione del testo

      La densa e concisa annotazione di At 1,14 non può essere compresa, anche dal punto di vista sintattico, senza i vv. 12-13 che la introducono ed inquadrano. Il lettore è invitato pertanto a considerare la  breve pericope di At 1,12-14. Posta al centro del capitolo primo degli Atti, essa presenta molteplici motivi di interesse e funge da raccordo tra quanto si è detto nei vv. 4-8 e l'evento di Pentecoste che sarà narrato nel capitolo secondo.
Se ogni testo dev'essere letto alla luce del contesto immediato e remoto, questa esigenza vale in particolare per At 1,12-14, che presenta un'ampia rete di relazioni e contatti.
      Il v. 12: "Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli ulivi..." collega il testo non solo con la scena dell'ascensione (9-11) appena descritta, ma anche con il v. 4, nel quale il Risorto comanda agli apostoli di non allontanarsi da Gerusalemme.[1]
      La formula perifrastica hoù ésan kataménontes del v. 13 richiama il verbo della medesima radice (periménein) del v. 4, che rivela anche il senso di quell'attesa, finalizzata alla "epangelía" del Padre, esplicitata nel v. 5 come "battesimo per mezzo dello Spirito".[2] 

      I legami non si limitano a quanto precede, ma si estendono anche ai brani seguenti: la necessaria ricostituzione del gruppo dei Dodici (vv. 15-26),[3] dopo l'elenco degli Undici fatto nel v. 13, e soprattutto la venuta dello Spirito nel capitolo secondo. Il v. 2,1: "Al compiersi del giorno di Pentecoste erano tutti insieme nello stesso luogo" richiama certamente l'annuncio "fra non molti giorni" del v. 1,5, ma suppone il ritorno degli Undici a Gerusalemme, la salita alla stanza superiore e la preghiera unanime e assidua della comunità (vv. 12-14). I legami della nostra pericope con i vv. 2,1-4 appaiono piuttosto evidenti. Esiste anzitutto il rapporto di fondo: attesa-compimento, ma anche una chiara continuità tra le due scene che presentano gli stessi personaggi, nello stesso luogo, con il medesimo atteggiamento.[4]
      
I vv. 1,12-14 costituiscono in qualche modo un crocevia nell'articolazione del capitolo primo degli Atti e in rapporto all'evento di Pentecoste. Essi si giustificano a partire da un comando e da una promessa: comando di restare a Gerusalemme (v. 4) e promessa dello Spirito (v. 8), in vista della testimonianza da rendere al Signore Gesù. La nostra pericope è inscindibilmente legata a quanto precede e direttamente finalizzata al dono dello Spirito santo. 

      I collegamenti, tuttavia, vanno oltre il contesto immediato, proiettandosi in un ambito ben più vasto. Com'è noto, il capitolo primo degli Atti si presenta quale introduzione, che opera il raccordo tra il "tempo di Gesù" e il "tempo della Chiesa". Esso garantisce la continuità tra il primo e il secondo libro di Luca - come lo stesso autore afferma (vv. 1-2)[5] - ma al tempo stesso anticipa il programma di tutto il racconto degli Atti (v. 8).[6]
      
Se in chiave prospettica, il capitolo primo introduce  il contenuto ed anticipa lo sviluppo degli Atti, retrospettivamente ripropone la conclusione del primo libro di Luca.[7]  La parte finale del vangelo e quella iniziale degli Atti si presentano come pannelli di un dittico: si spiegano e si illuminano a vicenda.[8] Si confrontino Lc 24,44-53 e At 1,3-14: in tutt'e due le sezioni si possono distinguere tre elementi paralleli:
      
- una "catechesi" del Risorto[9] agli apostoli [10] (Lc 24,44.46-47;[11] At 1,3-8), seguita da un incarico di testimonianza (Lc 24,48; At 1,8) e dall'annuncio dell'invio della "promessa del Padre"- la "forza dall'alto" (Lc 24,49; At 4,4.5.8), in attesa della quale devono restare in città (Lc 24,49; At 1,4);
      
- il racconto dell'ascensione (Lc 24,50-52a; At 1,9-11);
      
- il ritorno a Gerusalemme e la vita della comunità (Lc 24,52b-53; At 1,12-14).[12] 

      La seconda parte del capitolo primo degli Atti (vv. 15-26), anche se legata alla prima, appare molto diversa:[13] mentre At 1,3-14 ripete, con delle variazioni, quanto è stato detto alla fine del vangelo, la seconda parte (vv. 15-26) ha come oggetto la definizione del ministero apostolico (1,21-22), che giunge al termine del discorso di Pietro ai fratelli, e prepara l'aggregazione di Mattia al collegio degli apostoli.
      
Nei vv. 12-14 troviamo un gruppo ristretto di persone insieme con gli Undici, nella scena successiva, invece, si parla di circa 120 persone, una comunità ben più vasta, interpellata per la scelta del dodicesimo apostolo. Ciò fa pensare che il gruppo descritto in 12-14 sia il nucleo originario e fondamentale della primitiva comunità, al quale si sono aggiunti poi altri discepoli. Esso si trova in una posizione particolare nella chiesa delle origini. Di questo primo nucleo ecclesiale si occupa la breve, ma preziosa annotazione del v. 14, oggetto della nostra riflessione. 

1.2. Confronto con i sommari 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16

      In base allo stile e alla terminologia impiegata, At 1,14 appare un brano redazionale. Nonostante la sua marcata brevità, esso va annoverato tra quei testi ricorrenti negli Atti - specie nella prima parte -  chiamati convenzionalmente "sommari".[14] Collocato al centro della pagina iniziale degli Atti, può essere considerato come il primo breve sommario:  "un bilancio teologico e spirituale", dopo la presentazione degli avvenimenti successivi alla risurrezione di Gesù e in attesa del dono dello Spirito;[15] "un sommario sulla vita di preghiera della comunità e sulla sua costituzione".[16]
      
Secondo P. Benoit, i sommari sono "quadri d'insieme che dipingono in maniera generale dei tratti o atteggiamenti della comunità, di cui i racconti adiacenti forniscono illustrazioni particolari...sono veri quadri ricapitolativi circa la vita della prima comunità".[17]Essi costituiscono un campo privilegiato di ricerca delle intenzioni e della teologia dell'autore. E' necessario pertanto metterne in rilievo  ogni dettaglio, alla luce del contesto e nel confronto con i sommari paralleli. Nell'ambito del presente studio, ci limiteremo ad accennare ad alcuni rapporti che intercorrono tra il nostro testo e i sommari successivi, caratterizzanti la vita della comunità gerosolimitana delle origini. E' nota la parentela esistente tra questi brani, che presentano fenomeni letterari e teologici quasi identici, espressi con formule simili e complementari.[18]
      
All'interno di questa consonanza di fondo, i singoli testi contengono delle  peculiarità, che è importante mettere in luce per poterli adeguatamente qualificare.[19]
      
Il testo di At 1,14 presenta con ogni evidenza due caratteristiche che lo segnalano nettamente: anzitutto la preghiera[20] unanime e perseverante, e poi l'indicazione dei membri che compongono la comunità primitiva.[21]
      
La prima nota, la preghiera, si trova - in forma più articolata e insieme con altri fondamentali elementi - nel sommario seguente (2,42-47),[22] mentre non viene esplicitata ugualmente nei sommari successivi, i quali mettono in evidenza altri aspetti della comunità. Possiamo affermare che, partendo dal primo sommario e procedendo verso gli altri - nei primi cinque capitoli degli Atti - si assiste a un movimento che va dalla vita interna della comunità primitiva alle manifestazioni più esterne e visibili di essa.[23] “L’interesse del primo sommario è interamente rivolto alla vita religiosa ed interna dei primi credenti nella comunità ecclesiale”.[24] At 2,42-47, pur sottolineando la dimensione religiosa,[25] inserisce altre note, quali l’attività taumaturgica degli apostoli, la comunione dei credenti, la condivisione dei beni, la stima da parte del popolo e l’adesione quotidiana di nuovi membri alla fede.
      
Il brano di 4,32-35 segnala elementi simili: la comunione dei cuori e dei beni, la forte testimonianza resa dagli apostoli al Risorto, la stima di cui tutti sono circondati.
      
L’ultimo dei sommari presi in considerazione (5,12-16) si colloca sulla stessa linea, mettendo in luce i prodigi operati dagli apostoli, lo stare insieme,  l'approvazione del popolo, l'aumento costante dei credenti, le numerose guarigioni.
      
In tutti questi brani è evidente una nota caratteristica - la comunione degli animi - anche se espressa in modi diversi: con l’avverbio homothymadón (1,14; 2,46; 5,12); con la formula un cuore ed un’anima sola (4,32); con l’espressione epì  tò autó, che solitamente significa “insieme”, “ma che sembra avere un senso molto forte in 2,44 e 2,47”.[26] E, fatto degno di nota, tale unità di spirito è connessa, anche se non sempre esplicitamente, con la preghiera. Per quanto concerne l’avverbio homothymadón il legame è diretto, non solo nei tre testi citati, ma anche in 4,24, nell’introduzione alla preghiera degli apostoli: “Essi unanimemente alzarono la voce a Dio e dissero...”.
      
La preghiera sta alla base della comunione: questa infatti è frutto dello Spirito, il dono che il Padre celeste concede a quelli che lo pregano (cf Lc 11,13). 

       La seconda nota - la presentazione dei membri della comunità apostolica - è una peculiarità del nostro testo, che, per quanto breve, appare singolarmente articolato. Gli altri sommari parlano in maniera generale della moltitudine dei credenti, della vita interna della comunità e dei  rapporti con l'esterno; si soffermano in particolare sugli apostoli, i quali hanno la presidenza della comunità, esercitano il ministero della parola (2,42), operano guarigioni e prodigi (2,43; 5,12), rendono testimonianza al Signore Gesù (4,33)...; ma quei brani non informano circa le diverse categorie di persone che compongono la comunità delle origini. At 1,14, invece, accanto agli apostoli, pone delle donne, Maria la madre di Gesù e i suoi "fratelli". Questi personaggi, non saranno più menzionati nel corso degli Atti, ma ormai sappiamo che fanno parte della comunità apostolica. Essi sono stati inseriti nel primo sommario con un duplice intento: mostrare la continuità degli Atti con la narrazione evangelica, e ricordare al lettore che essi hanno un ruolo non secondario nella comunità dei discepoli del Signore.
      
Dopo il breve confronto con i sommari, s'impone una riflessione sulla preghiera in Luca e in At 1,14; e, in un secondo momento, sulla comunità apostolica e i personaggi che la compongono.

1.3. La preghiera in Luca

       La preghiera, nella sua accezione più ampia, è  un leit-motiv dell'opera lucana. Ciò emerge in maniera particolare nel cosiddetto vangelo dell'infanzia, tutto pervaso di pietà giudaica[27]e della intensa spiritualità delle prime comunità post-pasquali. Il racconto inizia con una liturgia nel tempio di Gerusalemme, mentre "tutta la moltitudine del popolo era in preghiera fuori, all'ora dell'incenso" (Lc 1,10),[28] e si conclude con le scene della presentazione e del ritrovamento, inquadrate nel contesto di riti e celebrazioni liturgiche.
      
Insieme col culto ufficiale, viene sottolineata la pietà dei diversi personaggi, per alcuni tratti simile a quella che troviamo nelle prime pagine degli Atti. A Zaccaria viene rivelato che la sua preghiera è stata esaudita (1,13); Simeone è presentato come "giusto e pio...e lo Spirito santo era su di lui" (2,25); Anna "non si allontanava dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere" (2,37); Maria, la madre di Gesù, per due volte (2,19.51b) viene presentata in atteggiamento sapienziale: intenta a conservare e  confrontare nel suo cuore[29] tutte le parole e gli eventi concernenti il  Figlio.
      
La preghiera nei racconti dell'infanzia si esprime in maniera privilegiata nel canto, fatto di lode, ringraziamento, benedizione, esaltazione di Dio e della  salvezza manifestata in Cristo. Ricordiamo il cantico di Maria (1,46-55), di Zaccaria (1,68-79), degli angeli (2,14) e di Simeone (2,29-32); le lodi dei pastori (2,20), di Elisabetta (1,42-45) e di Anna (2,38). In Lc 1-2  si respira effettivamente un clima che richiama  quello delle comunità degli Atti, imbevuto di profonda spiritualità e di lode divina.[30]

       Il vangelo lucano, che si apre nel tempio con i racconti dell'infanzia, si conclude nel medesimo luogo, in contesto liturgico, con la lode di Dio (cf Lc 24,53). La preghiera, posta all'inizio e alla fine, forma come una grande inclusione e sottende tutto l'arco del terzo vangelo. All'interno di esso, Luca ama evidenziare la preghiera di Gesù:[31] lo fa con maggior insistenza e con sottolineature proprie nei confronti degli altri sinottici. A differenza di Marco e Matteo, che rispettivamente presentano tre volte Gesù in orazione,[32] Luca segnala il fatto ben otto volte e in contesti particolari, nei quali l'atteggiamento del Maestro emerge con maggiore rilievo. Cinque menzioni di Luca non hanno dunque paralleli in ambito sinottico:[33] Gesù è in preghiera nel  battesimo (3,21); in occasione dell’elezione dei Dodici, passa tutta la notte in orazione (6,12); nella trasfigurazione, sale sulla montagna per pregare (9,28.29); dopo averlo visto pregare, uno dei discepoli gli chiede di insegnare loro a fare altrettanto (11, 1);[34] nell’ultima cena, solo Luca riferisce le parole di Gesù rivolte a Pietro che stava per rinnegarlo: “Ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno” (22,32).
      
In questi casi è evidente l'apporto redazionale di Luca; ma anche nei passi in cui segue la tradizione sinottica, egli presenta sfumature e rilievi, che emergono dal semplice confronto con i testi paralleli.

       Gli Atti degli Apostoli non si limitano a mettere la preghiera in primo piano nelle sintesi stilizzate ed edificanti dei sommari, ma la mostrano nell’esperienza quotidiana delle comunità e dei singoli. Si prega in occasione dell’elezione di Mattia (1,24); quando gli apostoli, dopo l’interrogatorio da parte del Sinedrio, vengono rimessi in libertà (4,24-30); prima dell’imposizione delle mani ai sette (6,6); mentre Pietro è in prigione (12,5); e in diversi altri momenti. Utilizzando una formula di Gl 2,5, i cristiani si qualificano come “coloro che invocano il nome del Signore” (cf At 9,14.21), con riferimento al Cristo glorioso.
      
Da tutto ciò si può comprendere come l’invito di Gesù a pregare sempre, in ogni tempo, sia stato attuato fedelmente nella comunità primitiva. Edotta dallo Spirito e radunata intorno al Signore risorto, la Chiesa si presenta anzitutto come comunità di preghiera.
      
La preghiera, negli Atti - come del resto nelle lettere paoline - è caratterizzata da due note fondamentali: la perseveranza, elemento già sottolineato dal terzo vangelo, e la comunione,[35] aspetto che Luca - a differenza di Matteo (cf 5,23s; 18,19s) -  non evidenzia nel vangelo. Su queste due note ci soffermeremo in seguito.    

2. La preghiera in At 1,14

       Il sommario di At 1,14 mette in primo piano la preghiera della comunità raccolta intorno agli apostoli. Si tratta di una preghiera sine glossa, senza le aggiunte o specificazioni, del resto preziose, che troviamo in altri testi.
      
Tale preghiera può includere diverse forme ed espressioni, come viene precisato, per es. nel sommario 2,42-47; ed è naturale che la comunità di At 1,14 spezzasse il pane in casa, frequentasse il tempio, celebrasse il Signore con salmi, inni e cantici spirituali (cf Col 3,16; Ef 5,19).[36]
      
La preghiera della comunità di At 1,14 poteva essere molto varia, ma ciò non viene detto. C’è tuttavia un elemento fondamentale di tale preghiera che non può essere messo in dubbio né trascurato: l’attesa dello Spirito. Tutto il contesto orienta in tale direzione: il sommario di 1,14 si colloca al centro del primo capitolo, a metà strada tra la promessa dello Spirito e la sua venuta; gli annunci sono espliciti: “comandò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere la promessa del Padre... voi sarete battezzati in Spirito santo fra non molti giorni” (1,4-5); riceverete la forza dello Spirito che verrà su di voi e sarete miei testimoni... “ (1,8). Il ritorno a Gerusalemme dal monte degli ulivi e il radunarsi in attesa, nella stanza superiore, si spiegano in base al comando del Signore e alla sua promessa.
      
Lo Spirito sarà donato in vista della testimonianza da rendere a Gesù (cf 1,8): la preghiera della comunità, pertanto, è anche in preparazione al futuro ministero affidato agli apostoli. Luca ama associare la preghiera al dono dello Spirito[37] e all'annuncio del vangelo, due realtà del resto inscindibili. Tale connessione è verificabile nella supplica unanime degli apostoli (4,24-31), nella preghiera per i diaconi (At 6,6), nell'orazione di Saulo (9,11) e di Pietro (10,9), nella preghiera comunitaria per Barnaba e Saulo in partenza per la missione (13,3): l'effetto della preghiera è lo Spirito che non solo permette di annunciare,[38] ma sceglie, invia (cf At 13,2.4) e orienta il cammino degli evangelizzatori (cf 16,6.7). Il legame tra Spirito e testimonianza, proclamato all'inizio degli Atti (1,8), è legge fondamentale di ogni apostolato.

       At 1,14 non è un testo fra gli altri: è il primo dei sommari, inserito in un capitolo introduttivo e programmatico. La preghiera unanime ed assidua per ottenere lo Spirito non caratterizza solo gli apostoli e quanti sono radunati con loro nella stanza superiore, ma tutti i credenti, quanti sono chiamati a rendere testimonianza al Signore Gesù.
      
La preghiera della comunità delle origini dev'essere vista in analogia con Lc 3,21, dove si ha un significativo riferimento cristologico. Come Gesù nel battesimo, mentre era in preghiera, ricevette lo Spirito, e quindi iniziò il suo ministero (Lc 3,23),[39] così il primo nucleo della Chiesa neotestamentaria è in preghiera prima di ricevere lo Spirito che l'abiliterà alla sua missione di testimonianza.[40] A Pentecoste, soprattutto - in risposta alla preghiera dei discepoli per il Regno (cf Lc 11,2) -  il Padre celeste effonde come dono il suo Spirito.[41]

2.1. Preghiera unanime

       L'unione degli animi, dei cuori, è una delle note fondamentali della preghiera nella comunità primitiva. E' un elemento che emerge con particolare evidenza in At 1,14.
      
L'unanimità suppone ovviamente che la preghiera sia comunitaria. La nota comunitaria è il primo passo e la condizione indispensabile per una preghiera unanime. Appare utile pertanto riflettere prima sulla preghiera in comune dei credenti e poi sull'unità dei cuori di coloro che pregano insieme.[42]
      
Questa distinzione è suggerita dalla formulazione stessa  del nostro sommario che inizia con "tutti costoro",[43] soggetto riferito agli Undici appena nominati, e aperto agli altri personaggi elencati successivamente: le donne, la madre di Gesù e i "fratelli" di lui.
      
La preghiera comunitaria, come si è detto, costituisce una novità degli Atti nei confronti del vangelo di Luca. Parecchi testi la mettono chiaramente in luce: "e pregando dicevano..." (1,24) ; "erano perseveranti...nelle preghiere" (2,42); "una preghiera insistente saliva dalla Chiesa verso Dio..." (12,5); "vi erano molti radunati e in preghiera" (12,12); "dopo aver digiunato e pregato e imposte loro le mani, li lasciarono partire" (13,3); "inginocchiatosi con tutti loro, pregò" (20,36); "inginocchiatici sulla spiaggia, pregammo..." 21,5).
      
Il segreto di questo cambiamento rispetto al vangelo - la sottolineatura della preghiera comunitaria - dipende dal fatto che i credenti ormai sperimentano di essere "chiesa": una comunità raccolta dallo Spirito e radunata, con gli apostoli, nel nome del Signore Gesù.[44]

       La preghiera comunitaria, quando è autentica, è espressione e fonte di quella unione dei cuori che negli Atti viene ribadita con evidente intenzionalità.
      
Tale disposizione interiore, che è l'anima di ogni preghiera in comune e che la giustifica come tale, è espressa in At 1,14 dall'avverbio homothymadón, che caratterizza non solo il soggetto hoútoi pántes, ma l'intera proposizione: sono unanimi non solo gli Undici, ma tutte le persone elencate insieme con loro. Potremmo dire che attraverso quell'avverbio si realizza l'unità di coloro che vengono presentati come persone e gruppi distinti;[45] e tale unità si esprime nella preghiera. Non si tratta di una comunione passeggera ovvero occasionale: l'unanimità è perseverante, come perseverante è la preghiera che la sostiene. L'avverbio homothymadón, derivato dai LXX,[46] è un termine caratteristico degli Atti;[47] applicato alla comunità cristiana, esprime una forte connotazione religiosa. In tale “accezione forte ed intensamente religiosa”[48]ricorre non solo nel nostro testo, ma anche nei sommari successivi, i quali proiettano ulteriore luce sul  senso del termine e sulla preziosa annotazione di At 1,14. In 2,46 si conferma: “ogni giorno unanimi erano assidui nel frequentare il tempio”;  in 5,12: "tutti stavano unanimemente nel portico di Salomone”. Il medesimo avverbio ricorre nell’introduzione alla preghiera, in 4,24: “Essi unanimemente  alzarono la voce a Dio...”. L’illustrazione  più efficace di homothymadón si ha in 4,32 ove si afferma che “la moltitudine dei credenti era un cuor solo ed un’anima sola”. Homothymadón è divenuto, per così dire, un termine tecnico, addirittura un’"espressione stereotipa della comunità".[49] In tale avverbio è condensato quanto Paolo richiede a tutti i credenti: di acquisire una mentalità comune, affinché "unanimi (homothymadón), con una sola bocca" glorifichino Dio (cf Rm 15,6). La concordia dev’essere così intensa  da tendere a realizzare e manifestare l’unità voluta da Cristo (cf Gv 17,22). Ciò si compie, anzitutto  nella preghiera.[50]

       La voce homothymadón non è stata scelta a caso: essa evoca una ricca tradizione a livello di riletture bibliche e giudaiche. La comunità del Nuovo Testamento che attende unanime il dono dello Spirito - la Legge della nuova Alleanza (cf Ger 31,31.33) - riprende e porta a compimento un’esperienza antica fondamentale: quella del popolo di Dio che ai piedi del Sinai,  homothymadón (yahdâw) (Es 19,8),[51]  accoglie il dono della legge e dell’alleanza. Tale esperienza, che ha segnato profondamente la storia d'Israele, rimane un punto di riferimento ideale per le generazioni successive. La tradizione giudaica ne fa oggetto di riflessioni edificanti. Secondo il midrash tale unanimità era frutto di un intervento diretto di Dio. In Egitto infatti gli israeliti erano caduti nei lacci dell'idolatria ed avevano contratto inimicizie; anche la loro partenza e le tappe del cammino nel deserto erano state segnate da divisioni e discordie.  Giunti al Sinai, Dio operò un radicale rinnovamento del popolo, guarendolo da infermità e discordie:[52] il giorno dell'alleanza "erano tutti un cuor solo per accettare con gioia il Regno di Dio".[53] Luca si inserisce in questa tradizione interpretativa. Per lui la comunità di Pentecoste è il compimento definitivo di quell'assemblea del Sinai, posta alle origini della storia d'Israele, nella quale si era intravisto il disegno di Dio sul popolo dell'alleanza. La Pentecoste si presenta pertanto come nuovo Sinai e la comunità, in quel giorno radunata, come l'Israele dei tempi futuri. La Pentecoste cristiana non è tuttavia una semplice riproposizione dell'alleanza sinaitica, ma anche il suo superamento: è l'alleanza nuova, vaticinata dai profeti,[54]come proclamerà Pietro, dopo la venuta dello Spirito, citando Gioele (cf At, 2,17-21). L'unanimità è il segno evidente della salvezza operata dal Signore; è la caratteristica del popolo redento che finalmente può accogliere la Legge dello Spirito in cuori riconciliati per testimoniarla con coerenza e fedeltà.    

2.2. Preghiera perseverante

       L’altra nota fondamentale della preghiera della primitiva comunità, secondo At 1,14, è la perseveranza. L’assiduità, come l’unanimità, non ricorre soltanto nel nostro testo, ma anche in altri sommari: essa caratterizza la preghiera e la vita dei discepoli del Signore.
      
E’ noto il topos lucano della preghiera insistente e continua,[55] ma, in maniera più ampia, la perseveranza è uno dei tratti caratteristici della spiritualità lucana. Questo atteggiamento viene espresso in particolare con il verbo proskarteréo, che etimologicamente significa "attaccarsi con forza a qualcosa",[56] e manifesta per conseguenza il senso di "essere costante, perseverante".[57] Su complessive dieci frequenze nel Nuovo Testamento, ben sei si trovano negli Atti, tre delle quali nei sommari. Solitamente il verbo ricorre in contesto liturgico, di preghiera e in genere religioso, come appare dai seguenti testi:

At  2,42: "erano perseveranti[58] nell'insegnamento degli Apostoli, nella koinonía, nello spezzare il pane e nelle preghiere".
2,46: "Ogni giorno, assidui frequentavano insieme il tempio...".
6,4  : "Noi saremo assidui alla preghiera e alla diaconia della parola".

       Nella letteratura paolina il verbo ricorre solo tre volte e il sostantivo una volta sola, ma sempre - eccetto in Rm 13,6 - in contesto di preghiera:

Rm 12,12: "...pazienti nella tribolazione, costanti nella preghiera".
Col 4,2: "Perseverate nella preghiera, vegliando in essa con rendimento di grazie".

       Di particolare significato e solennità è la finale della lettera agli Efesini in cui troviamo il sostantivo proskartéresis (che è un hapax biblico): "Pregando con ogni preghiera e supplica nello Spirito, in ogni tempo, e vigilando a questo scopo con ogni perseveranza (proskarterései) e supplica per tutti i santi..." (Ef 6,18).
      
"Dato il gusto della koiné per i composti e la tendenza ad intensificare l'espressività delle parole, si può pensare che proskarteréo non differisca affatto dal semplice karteréo...Tuttavia, il suo impiego (il più delle volte con il dativo) rivela nuove accezioni, sia che si tratti di rimanere fedele a qualcuno, di dedicarsi esclusivamente a qualche cosa, o di consacrarvisi instancabilmente".[59] Per comprendere adeguatamente i brani del Nuovo Testamento, dove si parla di perseveranza nella preghiera, è necessario aver presente tale densità semantica. Se poi si riflette che il verbo proskarteréo applicato alla preghiera non si trova mai nella lingua profana né nei LXX, bisogna concludere che siamo di fronte a una creazione ad opera degli autori del Nuovo Testamento "e la sua frequenza rivela non solo uno stato di fatto nella chiesa primitiva, ma anche un'esigenza apostolica...trattasi della traduzione apostolica del precetto del Maestro"[60]di pregare, sempre senza perdersi d'animo (cf Lc 18,1; 1Ts 5,17).
      
Il sostantivo proskartéresis, data la sua unicità, dev'essere inteso alla stregua del verbo, con la medesima ricchezza di senso nei confronti della preghiera neotestamentaria.
      
Tale costanza-assiduità è espressa ovviamente anche con altre formule: è necessario pregare  pántote, vale a dire, sempre,[61]en pantì kairói, in ogni tempo,[62] adialeíptos,  senza sosta, in maniera ininterrotta.[63] "E' questo un atteggiamento e un modo di pregare diverso da quello del giudaismo del tempo, tutto basato su tempi fissi e rigide formule di preghiera":[64] esso si fonda sul rapporto personalissimo e costante che Gesù aveva col Padre e che aveva trasmesso ai discepoli  insegnando loro a pregare.

       Questa perseveranza, frutto dell'esempio e dell'insegnamento del Maestro, è illustrata da diverse pericopi evangeliche. Rinunciando ad altri brani, ci limitiamo a due testi di carattere escatologico, nei quali Luca insiste sulla necessità di una preghiera continua e insistente.

       Ci riferiamo anzitutto alla parabola del giudice iniquo e della povera vedova (18,1-8), presente solo in Luca e raccontata per mostrare la necessità (tò deín) di pregare sempre, senza perdersi d'animo (cf 18,1): questo dev'essere  l'atteggiamento di coloro che aspettano "il giorno del Figlio dell'uomo", non sapendo quando egli verrà. A conferma di ciò, il  v. 7 afferma che i suoi eletti "gridano giorno e notte verso di lui": si tratta di coloro che - come la povera vedova - hanno subito persecuzioni e violenze, ed invocano Dio perché, con la sua venuta, renda loro giustizia. Si noti che le tribolazioni sostenute dagli "eletti" - i quali in realtà sono stati immolati - si spiegano a causa della parola di Dio e della "testimonianza"[65](cf Ap 6,9; Lc 21,13). Essi attendono l'intervento divino con costanza  e con preghiera insistente, sapendo che la loro liberazione è  vicina (cf Lc 21,28). Il v. 8, che attualmente conclude la parabola, e all'origine doveva essere un detto indipendente,[66] accenna a un motivo classico dell'apocalittica: l'apostasia che deve manifestarsi alla fine dei tempi (cf 2Ts 2,3; Mt 24,11-12. 24); essa è una "seduzione" e rappresenta la "contro-testimonianza".

       Il secondo testo da noi scelto è la conclusione della cosiddetta "apocalisse sinottica" (Mc 13; Mt 24-25; Lc 21), che in Luca presenta prospettive particolari.
       A differenza di Marco che sottolinea l'ignoranza di "quando" il Figlio dell'uomo verrà (13,32-37), ed esorta a "stare attenti" (13,33) e a "vegliare" (13,33.35.37), Luca  inizia con l'avvertimento: "Badate bene che i vostri cuori non si appesantiscano in crapule, ubriachezze e affanni della vita..." (21,34).[67] E mentre Matteo mette in guardia da comportamenti iniqui ed irresponsabili (Mt 24,48-49), Luca chiede di vegliare pregando in ogni tempo (Lc 21,36).[68] Diversamente dagli altri due sinottici, che concludono la pericope ribadendo l'imprevedibilità del ritorno finale - e in particolare da Matteo che prospetta il severo giudizio del Figlio dell'uomo (Mt 24,51) - Luca  annuncia la possibilità di sfuggire agli eventi minacciosi che devono accadere, grazie proprio alla vigilanza e alla preghiera incessante. Egli introduce la consolante prospettiva  di stare in piedi,  con fiduciosa sicurezza, davanti al Figlio dell'uomo;[69] atteggiamento che riprende e prolunga quello del non lontano v. 28: "Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi in piedi e levate il capo, perché si avvicina la vostra redenzione".
      
Non solo la prospettiva lucana di vigilanza e di preghiera è  differente, specie da quella di Matteo, ma il terzo evangelista aggiunge anche una cornice conclusiva al discorso escatologico. Si tratta di una specie di sommario circa il comportamento di Gesù, immediatamente prima della sua passione: "Di giorno era ad insegnare (forma perifrastica, come nei sommari degli Atti) nel tempio; di notte, uscendo, pernottava sul monte detto degli ulivi; e dall'aurora tutto il popolo andava da lui, nel tempio, per ascoltarlo" (Lc 21,37-38). Anche qui è rilevabile l'intervento lucano nel presentare Gesù, che di giorno "dimora" nel tempio, casa del Padre suo (cf Lc 2,49) e di notte si ritira sul monte degli ulivi, ovviamente in orazione. In questo atteggiamento di prolungata veglia  in preghiera (Lc 21,37), prima della passione, Gesù attua in maniera singolare l'esortazione che l'evangelista, nel v. 36 - immediatamente prima - rivolgeva a tutti: "Vegliate, pregando in ogni tempo...".
      
Come si vede, Luca è stato colpito anzitutto dal comportamento di Gesù in preghiera, dal suo costante dialogo col Padre. La comunità apostolica non farà che seguire l'esempio del Maestro:[70] lo testimonia fin dall'inizio il sommario di At 1,14.

3. La prima comunita’

       Finora si è parlato della comunità, della sua spirituale coesione e costanza nella preghiera. Indubbiamente At 1,14 sottolinea l'unità dei primi credenti, ma evidenzia - più che altri sommari - l’articolazione della medesima. Il nostro testo, così breve, è il sommario più esplicito circa la composizione della comunità postpasquale. E' un punto di riferimento prezioso per la Chiesa di ogni tempo, che vi può ritrovare le coordinate fondamentali della sua unità e della sua molteplice configurazione. In questo autorevole e programmatico testo, incentrato sugli apostoli, ma aperto ad altre presenze e ai diversi doni dello Spirito, le comunità cristiane potranno sempre ricercare l'armonia e l'equilibrio tra la missione apostolica e i diversi ministeri e carismi di cui lo Spirito dota incessantemente i credenti. Vi potranno riscoprire, con sensibilità e in forme nuove, il compito della donna al servizio del vangelo e, in particolare, quello di Maria, la madre di Gesù.
      
Va ricordato che siamo di fronte a un testo redazionale, nel quale le intenzioni dell’autore si esprimono in maniera più diretta ed esplicita. Ogni elemento, per conseguenza, dev’essere valutato con grande attenzione.[71]A questo punto ci sembra importante considerare i diversi personaggi che compongono la comunità apostolica, la "cellula germinale" della Chiesa neotestamentaria.

3.1. Gli apostoli

       Nell'opera lucana, com'è noto, il gruppo dei Dodici viene identificato  con gli apostoli,[72] i quali sono ritenuti a titolo speciale, in certo senso esclusivo, testimoni di Cristo.[73]Negli Atti, essi sono i personaggi principali, garanti della continuità tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa.[74]
       "Essi 'non sono i primi d' una serie'; essi formano 'un gruppo a parte', svolgente una funzione fondatrice e normativa, insostituibile e non reiterabile. Sulla loro testimonianza la Chiesa è stata fondata una volta per tutte  e in questa testimonianza essa trova la norma definitiva della sua fede e della sua unità".[75]
      
L'identità dei Dodici è caratterizzata da quattro note fondamentali: [76]
      
- Anzitutto essi sono i testimoni della risurrezione di Gesù (At 1,22):[77] questo è l'oggetto specifico del ministero degli apostoli, dato che a loro - e non a tutto il popolo - Gesù si è manifestato dopo la sua risurrezione (cf 10,40-41; 13,30-31); ad essi "si mostrò vivo, dopo la sua passione, con molte prove convincenti, apparendo (optanómenos) loro durante quaranta giorni" (At 1,3).[78]
      
- Per essere testimoni si richiede di aver fatto parte del gruppo apostolico per tutto il tempo del ministero di Gesù, cominciando dal suo battesimo fino al giorno in cui fu assunto in cielo (At 1,21-22). L'apostolo deve garantire la continuità tra il Gesù storico e il Signore della gloria, tra Gesù e la "chiesa" radunata nel suo nome.
      
Gli apostoli sono coloro che il Signore si è scelto per mezzo dello Spirito santo (At 1,2). Si diventa tali non per una decisione personale, ma per una scelta del Signore. Ciò appare con evidenza nella chiamata dei Dodici secondo la tradizione sinottica (Mc 3,13-19; Mt 10,1-4; Lc 6,12-16), e in occasione dell'elezione di Mattia (At 1,24): in quella circostanza, la comunità prega e getta la sorte per conoscere chi sia colui che il Signore ha scelto.
      
- Si è costituiti apostoli per la forza dello Spirito. Questa nota non risulta dal racconto dell'elezione di Mattia, ma appare dal contesto in cui il racconto è collocato: tra la promessa dello Spirito fatta agli apostoli (At 1,4-5.8) e la sua effusione nel giorno di Pentecoste (At 2,1-4). E' lo Spirito che abilita a compiere la missione di testimonianza al Risorto. 

L'oggetto specifico della testimonianza apostolica è dunque la risurrezione (At 1,22) di Gesù, e più ampiamente l'intero evento pasquale, secondo le Scritture, come viene dichiarato in conclusione al vangelo lucano e riaffermato all'inizio e nel corso degli Atti. In Lc 24,46-47 Gesù precisa i contenuti e l'ambito della missione degli apostoli: "Così sta scritto: il Cristo doveva patire e risorgere dai morti il terzo giorno, e nel suo nome doveva essere predicata a tutte le genti la conversione per il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme".[79] Nel v. 48, Gesù affida loro l'incarico ufficiale: "Voi sarete testimoni di queste cose". La missione, però inizierà soltanto dopo, quando si compirà la promessa del Padre e saranno rivestiti di potenza dall'alto (cf v. 49).
      
Secondo il testo evangelico, le parole di Gesù, pur avendo di mira gli apostoli, sono pronunciate davanti agli Undici e a "quelli che erano con loro" (Lc 24,33; cf 24,9). La narrazione degli Atti è più precisa: il Risorto si rivolge agli "apostoli che egli per mezzo dello Spirito santo si era scelti" (At 1,2); sono essi, in maniera esplicita e diretta, i destinatari delle istruzioni e delle apparizioni del Signore Gesù: essi devono rendergli testimonianza, e per questo riceveranno lo Spirito (cf 1,8).  Nell'attesa, sono riuniti in preghiera nella stanza superiore della casa.
      
Ma per il momento essi sono soltanto Undici; il loro numero è incompleto e dev’essere reintegrato: è necessario che uno prenda il posto lasciato vuoto da Giuda. Collocando l'episodio dell'elezione di Mattia tra l'ascensione e la Pentecoste, Luca fa intendere di attribuire un' importanza particolare (deì oùn...) alla ricostituzione del gruppo dei Dodici, anche se in seguito il nome di Mattia non ricorre più nel libro degli Atti e i Dodici sono menzionati solo in At 6,2. Possiamo chiederci perché Luca insista sul mumero dodici, riferito agli apostoli-testimoni, e perché gli prema che il numero sia ricomposto prima della Pentecoste. Alla prima domanda si può certo rispondere che i Dodici sono in rapporto con le dodici tribù d'Israele, ma tale ovvia spiegazione esige chiarificazioni ed approfondimenti. La relazione con le dodici tribù infatti può essere intesa in diversi modi: con riferimento al popolo ebraico in prospettiva escatologica, secondo Mt 19,28 (Lc 22,30),[80] oppure soteriologica, nel senso che la salvezza è destinata inizialmente a Israele; con riferimento alla Chiesa, vedendo nei Dodici  i rappresentanti del nuovo Israele.[81]
      
Qualunque senso si voglia dare alla ricostituzione dei Dodici,  essa deve avvenire prima di Pentecoste. Ma qual è il motivo di tale necessità?  La risposta può essere la seguente: quando lo Spirito sarà effuso su ogni carne, il popolo di Dio - rappresentato dai Dodici - dovrà essere al completo davanti al Signore, come un tempo, ai piedi del monte, nel giorno dell'alleanza (cf Es 24,3-4; Dt 5,22)[82]. Esso riceve in tal modo lo Spirito e viene costituito testimone di Cristo davanti a tutti i popoli, rappresentati potenzialmente dai Giudei della diaspora, convenuti a Gerusalemme da ogni nazione che è sotto il cielo (At 2,5). "Per questo inizio dell'attività di testimoni - che deve aver luogo necessariamente a Gerusalemme - bisogna che il numero dodici sia completo; dopo la morte di Giacomo (At 12,2) non ci sarà più bisogno di completare il numero".[83]

       Secondo la visione lucana, dunque, gli apostoli occupano una posizione unica nella Chiesa del Nuovo Testamento, in particolare nella comunità di Gerusalemme. Tale centralità emerge con evidenza in At 1,14, considerato in se stesso e alla luce del contesto. Il soggetto esplicito del nostro breve sommario sono gli Undici ("tutti costoro"), collocati  all’inizio della frase, in posizione privilegiata e dominante. Gli altri personaggi si aggiungono ad essi, condividendone la situazione e l'esperienza spirituale. Nel verso precedente gli Undici sono stati elencati ad uno ad uno, per nome;[84] con loro Gesù si era intrattenuto per quaranta giorni dopo la sua risurrezione; ad essi aveva promesso la potenza dello Spirito per la missione di testimonianza; di fronte a loro era stato assunto in cielo, avvolto nella nube della gloria divina.

       Nel primo sommario di At 1,14, gli apostoli - il cui compito è la testimonianza - sono presentati come uomini dalla preghiera assidua e concorde, per garantire la quale, in seguito (cf At 6,2-4), affideranno ai diaconi il servizio delle mense. Una scena, per certi versi parallela, è quella di 4,24-31, nella quale gli apostoli sono nuovamente in preghiera unanime, implorando di poter annunciare con tutta franchezza la parola di Dio. Ed anche in quel caso si ha un'effusione dello Spirito che li restituisce al loro ministero di testimonianza.
      
La comunità apostolica manifesta fin dall'inizio una grande unità,  ma al tempo stesso una significativa molteplicità e varietà di presenze: gli apostoli sono persone di comunione che associano altri alla loro vita e al loro ministero. Della comunità primitiva fanno parte, senza distinzioni di sorta - da sempre riscontrabili nella vita e nella pietà giudaica - delle donne.

3.2. Alcune donne

       La presenza di donne, introdotte senza articolo definito e pertanto in maniera piuttosto generica in At 1,14, pone dei problemi. Chi sono in realtà tali persone, qual è il loro compito, quale il significato della loro presenza nella comunità delle origini? Qualcuno, influenzato dalla loro posizione nella frase, subito dopo gli Undici, e dalla variante del codice D - che aggiunge "e i figli" - ha pensato possa trattarsi delle mogli degli Apostoli. Ma spiegazioni di questo genere appaiono fragili.[85] Il numero indeterminato di donne richiama piuttosto le discepole di Galilea - menzionate dal solo Luca in 8,2s -, le donne ricordate nella storia della passione e le prime testimoni della risurrezione (23,49.55s; 24,10.22-24). La presenza tra gli apostoli di queste persone, che avevano seguito Gesù fino alla sua Pasqua, sono un segno ulteriore di quella continuità che Luca  si preoccupa di stabilire tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa. La comunità primitiva segue anche in questo l'esempio del Maestro, il quale aveva riservato un posto e compiti particolari alle donne nel servizio al vangelo. Esse, insieme con gli apostoli, sono chiamate a rendere testimonianza al Signore Gesù. Lo Spirito, che fra non molto discenderà su tutti i membri della piccola comunità, radunata nella stanza al piano superiore, non farà alcuna distinzione tra uomini e donne, a differenza di quanto avveniva in rapporto alla Torah.[86]Come spiegherà Pietro, si verifica ormai ciò che era stato annunciato dal profeta Gioele: "Negli ultimi giorni, dice il Signore, / effonderò il mio Spirito su ogni carne / e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie..." (At 2,17). L'appartenenza a Cristo, suggellata dal dono dello Spirito, fa cadere ogni discriminazione e realizza il progetto di umanità nuova formulato da Paolo: "non c'è più giudeo né greco, schiavo o libero, uomo o donna: tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù" (Gal 3,28). In At 1,14 l'unità si realizza nella preghiera e nella vita di comunione in attesa dello Spirito. C'è già la premessa per una condivisione più ampia, in particolare per la partecipazione delle donne, a vari titoli, al servizio del vangelo, come ripetutamente verrà segnalato nel libro degli Atti.[87]

3.3. Maria, la madre di Gesù[88]

       Nel vangelo di Luca, Maria occupa un posto di rilievo, ma la sua posizione è singolare, quasi stralciata dalle altre figure femminili. Perché, ci si domanda, non viene annoverata tra di loro, eventualmente in prima fila, lei che in Luca è benedetta più di tutte le donne? Come mai, inoltre, nei racconti dell'infanzia di Luca ella è in primo piano accanto a Gesù e poi nel vangelo quasi scompare: non viene nominata con le altre donne al seguito di Gesù, non è ricordata nella   passione, né tra le testimoni del Risorto? E, analogamente, perché viene presentata in questo primo importante sommario degli Atti - e in maniera singolare, come non avviene per le altre anonime donne - mentre in seguito  non sarà più ricordata? Sono interrogativi che lasciano perplessi e inducono non di rado a posizioni contrastanti: ad un'esaltazione perfino eccessiva della madre di Gesù oppure, al contrario, a trascurarla adducendo come motivo la pretesa laconicità della Scrittura.
      
Certo, non è un caso che Luca parli di Maria nei racconti dell'infanzia e all'inizio degli Atti. I primi capitoli delle due opere di Luca, possono essere considerati rispettivamente come vangelo dell'infanzia di Cristo e della Chiesa.[89] Essi appaiono diversi dalle parti che seguono: sono testi marcatamente teologici, che anticipano agli inizi della vita di Gesù e della Chiesa - con linguaggio di fede esplicita -  quanto solo al termine del vangelo e degli Atti si può dire effettivamente realizzato.
      
Si tratta dunque di una riflessione dopo gli eventi, alla luce di Pasqua e sotto l'influsso dello Spirito. Il fatto che  la figura di Maria sia in particolare evidenza in questi testi e sottaciuta altrove, significa che la riflessione su di lei è avvenuta lentamente, in maniera progressiva e non uniforme nelle diverse  comunità neotestamentarie. In primo luogo, la fede apostolica e l'annuncio kerigmatico si sono concentrati sul mistero pasquale di morte e risurrezione (cf 1Cor 15,3-4); in tale fase, ovviamente, non si parla di Maria, almeno in maniera esplicita. In un secondo tempo, la riflessione si estende al periodo della vita pubblica che va, secondo la testimonianza di At 2,21-22, dal battesimo di Giovanni fino all'Ascensione; in questo periodo, Maria compare o viene nominata, ma occasionalmente (cf Mc 3,31-34; 6,3). Solo in seguito, a proposito della nascita e dell'infanzia di Gesù, la figura e il ruolo della madre  sono  messi in chiara luce. Questa è un'epoca più tardiva, nella quale la riflessione cristologica si è fatta più ampia e articolata, ed ha convogliato tradizioni ed esperienze ecclesiali diverse; anche la figura di Maria acquista allora densità teologica: ella è la madre del Messia, discendente davidico e Figlio dell’Altissimo (Lc 1,32); concepisce per opera dello Spirito santo (1,35), viene salutata quale madre del Signore (1,43), è benedetta per il frutto del suo grembo e proclamata beata per la sua fede (1,42.45). E' la serva esaltata dall'Onnipotente, colei che tutte le generazioni faranno oggetto di un macarismo senza fine (1,48-49).

Maria rivela una personalità non solo individuale, ma anche “corporativa”,[90] che ingloba in sé, in modo misterioso ma efficace, il popolo dell’alleanza - come già Abramo - a motivo della sua fede ed obbedienza. E’ la figlia di Sion,[91]salutata all’annunciazione con le voci dei profeti (cf Sof 3,14-15; Zc 2,14; 9,9) e che a sua volta canta la splendida salvezza di Dio (cf Lc 1,46-55). Possiamo dire che la sua immagine, senza nulla perdere della sua concretezza e individualità, è plasmata da Luca - e ancor più dalla tradizione giovannea - con categorie teologiche e simboliche.
      
Ella comunque si stacca dagli altri personaggi e si colloca in un ambito a sé. Questo potrebbe spiegare il fatto che Luca, in un testo conciso ed essenziale come il nostro - che introduce le donne in maniera generica e solo in conclusione ricorda i fratelli di Gesù - trovi il modo di citare Maria col  proprio nome e col titolo peculiare di “madre di Gesù”. Si tratta di una presentazione così  esplicita che non può essere fortuita, tanto più che si trova in un sommario, in cui ogni particolare ha il suo peso.[92]Non siamo di fronte a una semplice informazione storiografica, che sarebbe fuori luogo in quel contesto, ma ad un'annotazione che rivela indubbia valenza teologica e spirituale. L'autore intende mettere in luce la continuità tra il Gesù storico, nato per opera dello Spirito con la collaborazione di Maria e la nascita della Chiesa per opera del medesimo Spirito, con la presenza di Maria qualificata come madre di Gesù,[93] "primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). Ella è madre di Colui che la comunità ha accolto nella fede come il Signore della gloria, di quel Gesù che elevato al cielo invia lo Spirito, e al quale bisogna rendere testimonianza fino agli estremi confini della terra.
      
In seguito, Maria non sarà più nominata, ma il capitolo primo degli Atti è programmatico per tutto il libro e per la vita della Chiesa. Alla luce di questo primo sommario, siamo invitati a contemplare Maria nella comunità dei credenti di ogni tempo. Ella è presente come madre di Gesù dovunque ci siano testimoni del Risorto, in qualunque luogo donne e uomini si radunino, insieme con gli apostoli, in attesa dello Spirito del Signore.

3.4. I fratelli di lui [94]

       In contrasto col giudizio negativo, ma ingiustificato, espresso da Charlier nei confronti dei “fratelli” di Gesù,[95] sembra invece "che in seno a questo gruppo, proveniente dalla Galilea, si sviluppasse una forma di cristianesimo molto legato alle tradizioni giudaiche".[96] Per questo motivo Luca sarebbe interessato a mostrarne la presenza a Gerusalemme, insieme con altri discepoli, attorno agli apostoli.
      
L’annotazione di At 1,14 intende sottolineare che anche i "fratelli" di Gesù erano membri della comunità primitiva gerosolimitana: quei fratelli che, stando alla tradizione sinottica, non appartenevano alla parentela spirituale di Gesù, e secondo il drastico giudizio giovanneo, non credevano in lui (cf Gv 7,5). Luca, però non è l’uomo dei contrasti: tralascia o stempera tali giudizi, anche alla luce della posizione assunta in seguito dai parenti di Gesù nella Chiesa di Gerusalemme.[97] Né si deve dimenticare che il libro degli Atti è interessato a presentare la situazione ideale della comunità, in particolare nei sommari, con chiaro intento edificante.[98] Anzi, secondo Haenchen, che la parentela di Gesù appartenga fin dall’inizio alla comunità, sarebbe un elemento del quadro edificante che più tardi ci si è formati circa il tempo delle origini.[99]Ciò è in parte vero, ma piuttosto unilaterale: non si può attribuire la presenza dei parenti all’interno della comunità primitiva a questo solo motivo. In realtà, intorno agli apostoli, si dev'essere formata a poco a poco quella “famiglia spirituale” di Gesù, nella quale sono entrati anche i "fratelli", che un tempo, secondo la tradizione sinottica e giovannea, erano rimasti “fuori”.
      
Alla luce, dunque, della situazione della Chiesa di Gerusalemme e in fedeltà al suo assunto di presentare in chiave positiva ed esemplare la comunità delle origini, Luca ha inserito in At 1,14 questo tratto significativo circa i parenti di Gesù.

4. Conclusione breve

At 1,14, pur nella sua laconicità, è un testo di notevole importanza. Certamente viene arricchito e precisato dai sommari successivi, ma contiene già in sé elementi che lo qualificano e caratterizzano nettamente. Esso  si segnala per la sua posizione e per i contenuti.
      
Grazie alla sua collocazione, At 1,14 ha il pregio di essere il primo dei sommari, inserito nella pagina introduttiva degli Atti. Se ogni sommario astrae in qualche misura dagli episodi contingenti e - interrompendo per un istante la narrazione - si sofferma su caratteristiche ed atteggiamenti qualificanti la comunità, ciò è vero in particolare per questo primo brano, che intende presentarci l'immagine della Chiesa ai suoi albori, nella sua identità originaria.
      
La prima pagina degli Atti, lo ribadiamo, anticipa in qualche misura il messaggio e lo svolgimento del libro; d'altra parte, riprende l'ultimo capitolo del vangelo lucano, vale a dire la sua conclusione.
      
E' emblematico il fatto che l'ultimo versetto del vangelo (Lc 24,53) - il quale costituisce praticamente  un sommario - e il primo quadro di gruppo degli Atti (1,14) ritraggano gli apostoli in preghiera: nel primo caso, nel tempio,[100] nel secondo, radunati nella stanza superiore della casa.
      
A Luca preme sottolineare la preghiera, più ancora mostrare la comunità in preghiera. Questo motivo è ripreso con insistenza negli Atti, a partire dal sommario successivo (2,42.46s); è riscontrabile nell'esperienza dei vari personaggi, e viene affermato - per quanto concerne gli apostoli - in maniera solenne e inequivocabile: "Noi ci dedicheremo con assiduità alla preghiera ( te proseuchè... proskarterésomen)" (At 6,4).[101]
      
Luca è stato colpito dalla preghiera di Gesù, dal suo dialogo costante con il Padre. Gli apostoli presentano il medesimo atteggiamento: prima di ogni altra cosa, essi sono una comunità in preghiera. Nella Pentecoste, in cui ricevono il battesimo per mezzo dello Spirito (cf At 1,5) e l' investitura ufficiale per la missione di testimonianza (cf At 1,8), essi rivivono l'esperienza del Maestro: come Gesù (baptisthéntos kaì proseuchoménou) (Lc 3,21), essi vengono battezzati, mentre sono in orazione (cf At 1,14).

Gli Undici formano dunque una comunità in preghiera, ma non sono soli, come non erano soli a Gerusalemme, dopo la risurrezione di Gesù (cf Lc 24,33). Evidentemente essi occupano una posizione di privilegio nella comunità delle origini, ma con loro ci sono altre persone che ne condividono in misura e forme diverse i doni e il ministero. Questi personaggi non sono stati nominati antecedentemente, in quel che concerneva il compito  apostolico di testimoni ufficiali del Risorto, ma vengono presentati qui - con la loro particolare fisionomia - nella "chiesa" in preghiera, della quale fanno parte insieme con gli apostoli.
      
I sommari seguenti e lo sviluppo del libro degli Atti riveleranno altri importanti aspetti della vita dei credenti, ma in questo primo brano, concernente la comunità apostolica - cellula germinale della Chiesa del Nuovo Testamento - a Luca premeva sottolineare la preghiera, meglio, mostrare la comunità in unanime, perseverante preghiera. Si tratta, ovviamente, di una testimonianza fondamentale con la quale, in ogni tempo, la Chiesa è chiamata a confrontarsi. 

P. Alberto Valentini, monfortano



[1] Il cammino di un sabato (v. 12), che è di circa 2000 cubiti (880 metri), non costituisce un cambiamento di luogo:

      non  è un allontanarsi da Gerusalemme.
[2] Questo è anche il senso della parallela locuzione perifrastica del v. 14: ésan proskarteroúntes...

[3] Si noti il deì oùn...del v. 21: è una scelta che si impone perché già operata dal Signore ( cf v. 24).

[4] Colpiscono le espressioni  parallele:
1,14: "tutti costoro erano perseveranti homothymadòn.../ 2,1: "erano tutti  homoú nello stesso luogo";
1,13: la stanza superiore hoù ésan kataménontes / 2,2: la casa hoù ésan kathémenoi.
At 2,1 sembra dunque in rapporto con 1,13-14 piuttosto che con 1,15. In At  2,1.2b Luca ripete, variando parzialmente i termini, la notizia di 1,13-14, che pare sia stata redatta per servire d'introduzione alla storia della Pentecoste. "In realtà, la lista di 1,13-14 costituiva la normale introduzione al racconto della Pentecoste; Luca l'ha separata, volendo riferire le circostanze dell'elezione del dodicesimo apostolo; ma questo episodio rappresenta soltanto una parentesi e, in esso, la notazione delle 120 persone è, a sua volta, un'ulteriore parentesi" (J. Dupont, La prima Pentecoste cristiana (Atti 2,1-11), in Id., Studi sugli Atti degli apostoli, Roma 1973, 828).

[5]  At 1,1-2 richiama in maniera estremamente concisa ed efficace tutto il contenuto del vangelo, dall'inizio dell'attività di Gesù fino alla sua ascensione.

[6] Il capitolo primo, con il suo prologo, rappresenta l'introduzione a una storia, quella degli Atti, che inizia con l'evento della Pentecoste e con il  grande discorso inaugurale di Pietro.

[7] At 1,3-11 ricorda quel che Gesù fece e disse dalla risurrezione all'ascensione, riproponendo il contenuto delle ultime pericopi di Lc 24.

[8] "Dividendo la sua opera in due libri, Luca sa che deve accuratamente evitare di fare di questa divisione un'interruzione del racconto. Il procedimento raccomandato in questo caso è quello del cosiddetto 'intreccio delle estremità': la finale del primo libro anticipa gli eventi del secondo, e l'inizio del secondo ritorna su ciò che era già stato riferito nel primo" (J. Dupont, La missione di Paolo secondo Atti 26,16-23 e la missione degli apostoli secondo Luca 24,44-49 e Atti 1,8, in Id., Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli, Cinisello Balsamo 1985, 406).

[9] La catechesi riguarda il passato e il futuro. In Lc 24,44 Gesù riprende, attualizzandole, le parole rivolte loro prima del suo "esodo", secondo le quali è necessario (deí) che si compiano tutte le cose scritte di Lui nella legge, nei profeti e nei salmi. Apre quindi la loro mente alla comprensione delle Scritture: si noti il parallelismo con l'episodio dei discepoli di Emmaus (vv. 25-27) ai quali apre non la mente, ma le Scritture (v. 32). Nel v. 46 viene riproposto in maniera esplicita il messaggio degli annunci della passione (Lc 9,22; 18,31-33), che adesso è divenuto Kerygma pasquale (cf 1Cor 15,3-4), ma con un'aggiunta significativa nel v. 47: che nel suo nome sia proclamata a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati (cf Mc 13,10; At 26,23). Questi tre elementi: la passione, la risurrezione e la missione di proclamare la salvezza alle genti fanno parte degli annunci profetici concernenti il Messia (cf Is 49,6 ripreso in Lc 2,31s; At 13,47; 26,23; 28,28).

[10] Secondo il vangelo, l'istruzione si svolge alla presenza degli "Undici e quelli che erano con loro" (Lc 24,33; cf 24,9). In At 1,2 si parla in maniera chiara degli "apostoli che egli si era scelti per mezzo dello Spirito santo".

[11] In realtà, Lc 24,44-49 - come osserva giustamente  Dupont - "non si presenta come un unico discorso, ma come due discorsi", introdotti rispettivamente dalla formula "E disse loro", e separati dalla notizia narrativa del v. 45 (cf J. Dupont, a.c., 406).

[12] Il ritorno a Gerusalemme è presentato con la medesima formula: hypéstrepsan eis Ierousalém. Lc 24,52  sottolinea la nota di gioia: metà charàs megàles,  che forma inclusione con la grande gioia di  Lc 2,10, annunciata alla nascita di Gesù. Atti 1,12 non mette in rilievo la gioia; essa però si trova, in At 2,46s, ove abbiamo anche una sintesi della vita liturgica della comunità primitiva.

[13] Cf  G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, I, Brescia 1985, 272, nota 2. I vv. 1,15-26 costituiscono un "intermezzo":  l'evento di Pentecoste si aggancia  ai vv. 1,12-14.

[14] I principali e più noti sono At 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16, con i quali il nostro testo presenta evidenti contatti.

C. Ghidelli distingue tra sommari (quelli appena indicati), "notizie redazionali", in cui colloca il nostro brano, e "ritornelli", comprendenti brevi testi che intercalano la narrazione e "lasciano intravedere una strutturale unità di tutto il libro degli Atti" (C. Ghidelli, I tratti riassuntivi degli Atti degli Apostoli, in Il Messaggio della salvezza, V, Torino-Leumann 1968, 140).

[15] Cf R. Fabris, La presenza della Vergine al Cenacolo (At 1,14), in Marianum 50 (1988), 404s.

[16] G. Schneider, o.c., 273. Altrove Schneider annovera  At 1,14 tra "le notizie minori in forma di sommario",  come At 6,7; 9,31; 12,24; 16,5; 19,20; 28,30s (cf ivi, 147, nota 10).

[17] P. Benoit, Remarques sur les "Sommaires" des Actes II, IV et V, in Exégèse et Théologie, II, Paris 1961, 181.

[18] Non entriamo qui nella problematica circa la formazione e la redazione definitiva di questi brani, che rivelano molteplici contatti, secondo alcuni rimaneggiamenti e concordismi anche maldestri. Per tali questioni  rimandiamo in particolare a P. Benoit, a.c, 181-192; H. Zimmermann, Die Sammelberichte der Apostelgeschichte, BZ 5 (1961), 71-82; H.J. Degenhardt, Lukas, Evangelist der Armen, Stuttgart 1965;
E. Haenchen, Die Apostelgeschichte, Göttingen 71977, 194-197; 228-231; 238-241; E. Rasco, Actus Apostolorum. Introductio et exempla exegetica, PUG, Romae 1968, 271-330.
Alle ricostruzioni parzialmente discutibili di Benoit, Zimmermann, Degenhardt e di altri studiosi, fa da contrasto la posizione di Haenchen, il quale attribuisce tutto all'attività redazionale di Luca. Su questa linea si colloca anche Schneider (o.c., 147s. 396. 527).  Più prudente e possibilista appare Rasco, il quale rinuncia alla identificazione precisa dei materiali tradizionali e redazionali.

[19] Queste composizioni costituiscono "un prezioso e ricco polittico - di cui ogni singolo sommario rappresenta un pannello di particolare interesse - con il quale Luca ha delineato i vari aspetti della vita e della religiosità della chiesa primitiva” (B. Prete, Il sommario di Atti 1,13-14 e suo apporto per la conoscenza della Chiesa delle origini, SacDoct 18[1973] 90).

[20] “La prière est la première action de l’Eglise au lendemain de l’Ascension (Actes 1,14). Elle précède tout autre souci” (Ph.-H. Menoud, La vie de l’Eglise naissante, Neuchâtel 21969, 88).

[21] L'elenco dei membri della comunità radunata intorno agli Undici si trova solo nel nostro sommario: negli altri tre si parla di: "tutti i credenti" (2,44), "moltitudine dei credenti" (4,32), "tutti" (5,12).

[22] E' da sottolineare l'importanza del v. 42, sia in se stesso sia in rapporto ad At 1,14. Collocato in posizione privilegiata - subito dopo il grande discorso di Pietro e l'adesione alla fede di quasi tremila persone - il v. 42 presenta una sintesi fondamentale della vita della comunità primitiva; sintesi che viene commentata nei vv. seguenti (43-47), e che costituisce un punto di riferimento decisivo per la Chiesa di ogni tempo.
      Il v. 42 si trova, per così dire, in parallelismo con 1,14: questo è inserito prima dell'evento di Pentecoste, quello in conclusione; tutti e due iniziano con la formula  perifrastica ésan proskarteroúntes; ambedue si concentrano sulla vita interna della comunità. Mentre però At 1,14 si limita a sottolineare la preghiera in preparazione al dono dello Spirito, At 2,42 presenta  un quadro più completo della comunità radunata in conseguenza della della Pentecoste. Secondo At 2,42 la comunità - posta sotto il segno della "perseveranza" (cf anche l' "ogni giorno" del v. 46) - è caratterizzata da quattro note fondamentali, raggruppate a due a due: l'insegnamento degli apostoli e la koinonia, la frazione del pane e le preghiere. In base a questi tratti, i primi credenti si rivelano, in maniera privilegiata, quale comunità di preghiera, anzi comunità liturgica, e non solo per le ultime due note. La liturgia non si limita infatti alle preghiere e neppure alla celebrazione propriamente detta, ma inizia con la proclamazione della Parola (la didachè degli apostoli) e - in conseguenza della celebrazione del "mistero" - si conclude con l'impegno di vita dei credenti animato dalla carità (la koinonia).

[23] Fermo restando quanto si è detto - nella nota 22 - circa At 2,42.

[24] Cf B. Prete, a.c., 91.

[25] Anzi, vi ritorna ripetutamente (2,42.46.47), distinguendo le varie esperienze di preghiera e di liturgia sia in casa che al tempio.

[26] J. Dupont, L’unione tra i primi cristiani,  in Id., Nuovi studi..., 284; cf 287ss.

[27] Qui e nella comunità di Gerusalemme, più che altrove,  "l'esprit de la prière chrétienne est d'abord celui de la prière des pieux israélites qui maintiennent vivante en leur coeur la grande tradition biblique" (J. Dupont, Le discours de Milet, Paris 1962, 349).

[28] Si noti il caratteristico linguaggio, che ritroviamo nei sommari degli Atti: la locuzione ridondante "tutta la moltitudine del popolo" (cf At 2,44.47; 4,32; 5,12.14), e la forma perifrastica en... proseuchómenon (cf At 1,13.14; 2,42.46).

[29] Un atteggiamento simile si può ravvisare in Lc 1,66, riferito a tutti coloro che udivano le cose straordinarie legate alla nascita di Giovanni.

[30] E' significativo in tal senso, per es., il verbo ainéo che ricorre in Lc 2,13.20, a proposito della schiera celeste e dei pastori, e in At 2,47, con riferimento alla comunità che celebra le lodi di Dio.

[31] Negli Atti, l'autore  insisterà sulla preghiera degli apostoli e dei credenti, i quali continuano quanto ha fatto e insegnato il Maestro.

[32] In Marco: dopo la giornata di Cafarnao (1,35); dopo  la prima moltiplicazione dei pani (6,46); nel giardino degli ulivi (14,32-39). In Matteo: dopo la prima moltiplicazione dei pani (14,23); prima dell' arresto (26,36-44);  in un testo peculiare del primo evangelista, secondo il quale i fanciulli vengono presentati a Gesù, non perché egli li tocchi ( Mc 10,13; Lc 18,15), ma perché imponga loro le mani e preghi per essi" (Mt 19,13).

[33] Nel quarto vangelo non si danno testi paralleli.

[34] Si noti il contesto totalmente diverso nel quale Matteo inserisce il Padre nostro (Mt 6,9-13).

[35] "Il s'agit alors de souligner l'application à la prière des Apôtres (6,4), des chrétiens (2,42-46), ainsi que l'unité réalisée par cette communauté en prière: qu'elle soit réunie dans le Temple, dans la "chambre haute", ou dans quelque maison privée" (L. Monloubou, La prière selon saint Luc [Lectio Divina 89], Paris 1976, 38).

[36] E' da ritenere che nella comunità apostolica ci fosse un'autentica vita liturgica: la preghiera in quanto tale è solo una  componente della liturgia, la quale è ben più ampia e coinvolgente.

[37] Al dire di H. Lampe, "in tutti i casi nei quali menziona la preghiera, il libro degli Atti afferma o suggerisce un legame strettissimo tra questo atto dell'uomo, che è la preghiera, e l'atto col quale Dio comunica lo Spirito...Essendo la preghiera il mezzo per l'uomo di sottomettersi all'efficace influsso dello Spirito, sembra naturale a Luca considerare il dono dello Spirito come la risposta principale di Dio alla preghiera dell'uomo" (G.W.H. Lampe, The Holy Spirit in the Writings of St. Luke, in Studies in the Gospels: Essays in Memory of Lightfoot, Oxford 1955, 168).

[38] Ciò è messo in particolare evidenza nella Pentecoste ("Tutti furono riempiti di Spirito santo, e cominciarono a parlare..." [At 2,4]) e al termine della preghiera degli apostoli nella persecuzione ("Tutti furono riempiti di Spirito santo, e proclamavano la parola di Dio con parresia" [At 4,31]).

[39] Non solo gli inizi, ma tutta l'azione salvifica di Gesù è dipende dalla sua unzione di Spirito santo e di potenza (cf At 10,38).

[40] "Con ciò Luca inequivocabilmente ritorna con il pensiero al battesimo di Gesù...Nel tempo dell'attività terrena di Gesù, lo Spirito santo è il dono messianico che contrassegna Gesù, che rende possibile e fruttuosa l'intera sua attività, mentre dopo la sua esaltazione lo stesso dono viene fatto all'intera comunità cristiana e trasforma il tempo della Chiesa in un tempo dello Spirito (cf Lc 11,13; 12,12; Act. Da un capo all'altro)" (R. Schnackenburg, Cristologia del Nuovo Testamento, in Mysterium salutis, V, Brescia 21971, 379).

[41] "Secondo l'interpretazione teologica offerta da Luca, dove è lo Spirito è già presente il Regno. Infatti il Regno escatologico di Dio, di cui Gesù è il messaggero per eccellenza, si realizza per mezzo dello Spirito, la cui presenza è caratteristica di tale Regno" ( S.S. Smalley, Spirit, Kingdom and Prayer in Luke-Acts, NT 15 [1973] 13). Si noti che in Lc 11,2 alcuni manoscritti - invece di "venga il tuo Regno" - riferiscono: "venga il tuo santo Spirito su di noi e ci purifichi" (cf Nestle - Aland, Novum Testamentum Graece, Stuttgart  271993).

[42] Evidentemente la preghiera comunitaria autentica, animata dallo Spirito, è di per sé unanime, ma il fatto che alcuni testi, specie nei sommari, sottolineino con termini forti ed espliciti  l'unanimità degli oranti, ci porta a questa distinzione, che non intende certo contrapporre comunitario ad unanime, ma vuole semplicemente ribadire l'intensità della comunione che quei testi esprimono.

[43] Con quel pántes, tuttavia, si va probabilmente oltre la scena singola, per esprimere un giudizio più generale sulla comunità delle origini (cf  B. Prete, a.c., 70). Si sarebbe  potuto dire semplicemente "costoro", senza aggiungere l'aggettivo "tutti"; ma questa amplificazione del linguaggio fa parte dello stile dell'autore, come si può constatare in particolare nei sommari, dove ricorrono numerose espressioni generalizzanti. Ne presentiamo un inventario: molti prodigi e segni (2,43); tutti i credenti...avevano tutte  le cose  comuni (2,44); ne facevano parte a tutti (2,45); presso tutto il popolo (2,47); la moltitudine di coloro che avevano creduto (4,32); con grande potenza...grande benevolenza verso tutti loro (4,33); ci fu un timore grande per l'intera chiesa e per tutti quelli che ascoltavano queste cose" (5,11); molti segni e prodigi...tutti stavano insieme (5,12); la moltitudine di uomini e di donne (5,14); la folla delle città intorno a Gerusalemme...ed erano tutti guariti (5,16).

[44] Si noti che in Lc 11,2ss la preghiera insegnata da Gesù ai discepoli è già comunitaria, ma essi non sono ancora chiesa. Ciò avverrà negli Atti, come appare, in maniera particolarmente efficace, in 12,5: "una preghiera incessante saliva dalla Chiesa a Dio...". Bisogna però dire, che nello stadio iniziale, la comunità - così com'è descritta in At 2,42-47 - non viene ancora chiamata chiesa: ciò avverrà a partire da At 8,1.

[45] I gruppi che compongono la comunità delle origini non solo si trovano nello stesso luogo, ma, quel che più conta, sono uniti da profonda comunione, avendo un solo spirito, frutto dello Spirito che invocano.

[46] Nella Bibbia alessandrina il termine ricorre 36x ed è usato in particolare nel libro di Giobbe (14x) e in quello di Giuditta (6x), per tradurre l’ebraico yahad, yahdâw. Esso significa “insieme”, quando si tratta di una folla, di una massa di gente (cf At 7,57); in base all’etimologia, il termine non indica soltanto un’aggregazione di persone, ma sottolinea il loro accordo, l'unanimità; in particolare esprime la comunione fraterna dei credenti raccolti in preghiera: è questo il senso particolare che il termine riveste negli Atti, un significato noto ai LXX  e al giudaismo (cf Gdt 4,12; Sap 10,20; Filone, vit. Mos. 1,72.

[47] Vi ricorre 10x (includendo anche At 18,12); nel resto del NT si trova soltanto in Rm 16,6, sempre in contesto religioso.  Per il nostro studio interessa ovviamente sottolineare la connotazione positiva di tale avverbio, che viene usato anche in senso negativo per esprimere il coalizzarsi degli avversari; “Mit homothymadón schildert Lukas in Apg 1,14; 2,46; 4,24; 5,12; 8,6 die vorbildliche Einigkeit der Gemeinde, dagegen in 7,57; 18,12; 19,29 die Einigkeit einer christenfeindlichen Menge” (E. Haenchen, o.c.,159, nota 4).

[48] Cf  B. Prete, o.c., 71.

[49] H.W. Heidland, GLNT, VIII, 521.

[50] Cf C. Spicq, Note di lessicografia neotestamentaria, II, Brescia 1994, 254ss.
      
Conosciamo, tuttavia, il carattere edificante dei racconti degli Atti, in particolare dei sommari, né ci sono ignoti i conflitti e le tensioni presenti nelle comunità, ma l'unione degli spiriti non si fonda sulla simpatia reciproca dei membri o su affinità culturali,  bensì su “un evento esterno al gruppo che viene ad interessarlo...provocando la sua reazione globale”. Nel nostro caso è “la risposta dei credenti a ciò che Dio ha operato per mezzo di Cristo, nel mondo e nella comunità...l’unanimità è un dono di Dio per la lode del Signore” (H.W. Heidland, a.c., 522).

[51] C'è qui un ulteriore motivo per connettere At 2,1 con 1,13-14  e non con 1,15-26. L'espressione "tutti insieme nello stesso luogo" di 2,1 esprime di per sé una vicinanza locale, "ma a giudicare dal vocabolario di Luca e dal legame che la unisce a 1,13-14, essa sembra esprimere contemporaneamente l'unanimità...Essi sono insieme non soltanto perché si trovano nel luogo, ma anche per l'unione dei cuori" (J. Dupont, La prima Pentecoste cristiana, a.c.,  828s).
      Si noti la risposta corale di tutta l'assemblea in Es 19,8 (cf Es 24,3.7): "Tutto quello che il Signore ha detto, noi lo faremo!" (Es 19,8; cf 24,3.7). Dio stesso se ne compiace con Mosè: "Ho udito le parole che questo popolo ti ha rivolte...Oh, se avessero sempre un tal cuore, da temermi e osservare tutti i miei comandi, per essere felici loro e i loro figli per sempre!" (Dt 5,28s).

[52] Cf A. Serra, E c'era la Madre di Gesù..., Milano-Roma 1989, 292s.

[53] Mekiltà Ex19,2; cf 19,8; 20,2. Cf anche Tg  Ps-Jon a Es 19,2.

[54] Cf Ger 31,31-34; Ez 36,25-28; Gl 3,1-5 (LXX).

[55] Cf Lc 6,12; 18,1; 22,44; At 12,5.

[56] Nei LXX, con significato fondamentalmente analogo, si trova  in Gb 2,9; Sir 2,2; 12,15; Is 42,14; 2Mac 7,17 e in particolare in 4Mac, dove, insieme col verbo, ricorrono anche il corrispondente sostantivo, aggettivo e avverbio. Il composto proskarteréo, ben più raro nei LXX, è presente in Nm 13,20; Tb 5,8 (S); Sus 6 (TH).
Nel NT  karteréo si trova solo in Eb 11,27, a proposito della fede di Mosè. Più frequente invece è proskarteréo che viene usato 10x , per lo più negli Atti. Il sostantivo proskartéresis è usato solo in Ef 6,18.

[57] Questo significato viene marcato ulteriormente quando - come in At 1,14 - il verbo è in forma  perifrastica (ésan proskarteroúntes). Tale modalità, nel nostro contesto,  ricorre piuttosto frequentemente: cf At 1,13: ésan kataménontes; 2,2: ésan kathémenoi;  2,5: ésan ...katoikoúntes; 2,42: ésan proskarteroúntes.
      La coniugazione perifrastica con l'ausiliare essere e il participio presente - che nella lingua ellenistica viene usata in maniera molto limitata - nel NT ricorre per lo più in Luca e nella prima parte degli Atti (1-13), ma anche nel vangelo di Marco. Tale formulazione, com'è noto, intende sottolineare la durata, la continuità dell'azione. Questo senso viene ulteriormente rafforzato quando, come nel nostro caso, l'ausiliare è all'imperfetto, tempo che di per sé presenta tale caratteristica.  L'espressione intende dunque attirare l'attenzione  sullo stile di vita della comunità delle origini. Circa l'uso della coniugazione perifrastica in Luca, cf E. Haenchen, o.c., 155s, n. 7; Blass-Debrunner, § 353.

[58] Tale  formula presenta “un’intensa colorazione religiosa, che caratterizza in forma incisiva la vita di questo gruppo” (B. Prete, a.c., 70).

[59] C. Spicq, o.c., 472.

[60] Ivi, 474s.

[61] Cf Lc 18,1; 1Ts 1,2; 2Ts 1,3.11; Rm 1,10; Ef 5,20.

[62] Cf Lc 21,36; Ef 6,18.

[63] Cf 1Ts 2,13; 5,17; Rm 1,9.

[64] W. Grundmann, proskarteréo, GLNT, V, 227. Cf anche Strack-Billerbeck, II, 237s.

[65] La testimonianza - affidata anzitutto agli apostoli - è un tema essenziale per Luca ("testimonianza" si identifica con "martirio", ovviamente non solo per l'etimologia); essa suppone la potenza dello Spirito (At 1,8; 2,4; 4,31) e una preghiera costante, specie nella prova (At 4,24-30).

[66] Le parabole infatti non finiscono con interrogativi, come in questo caso.

[67] L'appesantimento del cuore è dovuto, secondo Luca, ad eccessi nel mangiare e nel bere e agli affanni della vita: le prime due indicazioni fanno pensare alla descrizione del ricco insensato (cf Lc 12,19) e di colui che "tutti i giorni banchettava lautamente" (16,19); gli affanni della vita ricordano coloro che ascoltano la parola, ma si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita (Lc 8,14). "Non può esserci dubbio alcuno: l'appesantimento del cuore contro cui Lc 21,34 mette in guardia, è esattamente, nel suo contesto lucano, quello che minaccia direttamente i ricchi ed è automaticamente legato al possesso dei beni della vita presente. L'avvertimento di questo versetto si iscrive nella linea di una preoccupazione che si manifesta lungo tutto il terzo vangelo e che costituisce l'altra faccia della sollecitudine di cui Luca dà prova nei riguardi dei poveri" (J. Dupont, Le tre apocalissi sinottiche, Bologna 1987, 148).

[68] "Prima di tutto egli intende precisare cosa significhi per lui l'immagine di non abbandonarsi al sonno: ...Il cristiano non può dormire perché non deve mai cessare di pregare: la vigilanza cristiana è quella della preghiera" (ivi). A conferma di ciò, Dupont cita proprio Lc 18,1. Tale modo di intendere l'attesa quale "atteggiamento attivo di preghiera" caratterizzava già la pietà giudaica, come appare dalle parole di Paolo davanti al re Agrippa (cf At 26,6-7), e nel vangelo, dalla descrizione della profetessa Anna, la quale "non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere" (Lc 2,37), e pertanto era in grado di parlare del Bambino "a tutti coloro che aspettavano la redenzione di Gerusalemme" (2,38) (cf ivi, 148s).

[69] Cf ivi, 149s.

[70] "Ed avvenne che mentre egli era in un luogo a pregare, come ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare..." (Lc 11,1): episodio che solo Luca riferisce.

[71] Gli autori rilevano giustamente la grande differenza tra l’accuratezza del testo di At 1,13-14, nel presentare gli apostoli, le donne, Maria la madre di Gesù  e i fratelli di lui, e la genericità del v. 15b, che si limita ad affermare, come per inciso: “la moltitudine di coloro che erano  riuniti era di circa 120 persone".

[72] Il concetto di apostolo, riservato ad essi, appare già in Lc 6,13, al momento dell'elezione: "...ne scelse dodici, che chiamò anche apostoli", precisazione assente in Mc 3,14. Questa identificazione è affermata con coerenza da Luca: cf Lc 9,1.10; 17,5; 22,14 (diverso da Mc 14,17); 24,10; At 1,2.26; 2,37.42.43; 4,33.35.36.37; 5,12.18.29.40; 6,6; 8,1.14.18; 9,27; 11,1. Quando nel gruppo non vengono inclusi, rispettivamente, Giuda o Pietro (Lc 24,9.33; At 1,26; 2,14), si parla degli "Undici".
      E' vero che in At 14,4.14 vengono chiamati apostoli anche Paolo e Barnaba; in questi casi - senza parlare di distrazioni dell'autore - bisogna dire che Luca utilizza il termine "apostolo" in un'accezione più ampia. Si noti tuttavia che, secondo testo occidentale, nel v. 14, è assente la qualifica "gli apostoli", che pertanto potrebbe non essere originale
Si deve però osservare che, in base ai sinottici, non si può sostenere che Gesù, prima di Pasqua, abbia conferito ai Dodici - in forma esclusiva - il titolo di apostoli; ciò, quindi, vale anche per Luca (cf J. Dupont, Le nom d'Apôtres a-t-il été donné aux Douze par Jésus?, Bruges-Louvain 1956, 46s).
      
La stessa equazione: Dodici=apostoli non è propria di Luca: si trova anche in Ap 21,14. "Essa riflette senza dubbio le idee dell'epoca successiva alla scomparsa dei Dodici e corrisponde naturalmente a una certa tendenza a idealizzarli, tendenza di cui la redazione del terzo vangelo offre più d'un esempio significativo" (J. Dupont, I ministeri della Chiesa nascente, in Id., Nuovi studi, 131-132).

[73] Solo eccezionalmente altri, diversi dai Dodici, vengono qualificati come testimoni: in At 22,15 e 26,16 è detto "testimone" Paolo e in At 22,20 Stefano. Per quanto riguarda Paolo, in particolare, bisogna dire che egli merita questo titolo, dal momento che i Dodici  "hanno attuato solo l'inizio del programma che era stato assegnato alla loro attività di testimoni, mentre il resto è stato svolto da Paolo...:egli è testimone come loro, anche se non esattamente allo stesso titolo" (J. Dupont, L'apostolo come intermediario della salvezza, in Id., Nuovi studi, 116). Per Luca "il vangelo non è più anzitutto un escatologico agire di Dio in virtù della risurrezione di Gesù, ma una trasmissione che deve risalire al Gesù terreno, dalla cui completezza e validità dipende tutto. Per lui, dunque, gli apostoli possono essere testimoni della risurrezione soltanto quando sono in grado di garantire anche la trasmissione su tutto l'operato terreno di Gesù (1,21)" (J. Roloff, Apostolat/Verkündigung/Kirche. Ursprung, Inhalt und Funktion des kirchlichen Apostelamtes nach Paulus, Lukas und den Pastoralbriefen, Gütersloh 1965, 36). Il concetto di apostolo, nella visione di Luca, è caratterizzato "dal  legame con la vita di Gesù, e dunque dalla sua unicità storica" (H. Conzelmann, Die Mitte der Zeit, Tübingen 51964, 201s, nota 2).

[74] "Questi  testimoni sono gli intermediari obbligati tra il Cristo vivo e gli uomini destinati ad aver parte alla salvezza realizzata dalla vita, morte e risurrezione di Gesù" (Ph.-H. Menoud, Jésus et ses témoins. Remarques sur l'unité de l'oeuvre de Luc, in Id., Jésus-Crist et la Foi. Recherches néotestamentaires, Neuchâtel-Paris 1977, 106).

[75] J. Dupont, a.c., 121.

[76] Ivi, 129s.

[77] A puntuale conferma giungono le parole di Pietro - insieme con gli Undici! (2,24) - nel giorno di Pentecoste: "Dio ha risuscitato questo Gesù, e di ciò noi tutti siamo testimoni" (2,32).

[78] Essi hanno mangiato e bevuto con lui  dopo la sua risurrezione dai morti (At 10,41; cf Lc 24,30s); lo hanno visto e toccato, constatando che il Risorto ha "carne ed ossa" e non è un fantasma (cf Lc 24,39).

[79] In 24,47 l'ordine della testimonianza è invertito: "...a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme"; in At 1,8 viene ristabilita la successione  logica e reale, distinguendo anche le tappe della testimonianza apostolica, e cambiando la formula "tutte le genti" con "fino all'estremità della terra", espressione profetica (Is 49,6) ripetuta in At 13,47.

[80] "Quando il Figlio dell'uomo siederà sul suo trono di gloria, siederete anche voi su dodici troni per giudicare le dodici tribù d'Israele" (Mt 19,28).

[81] Cf  J. Dupont, Il dodicesimo apostolo (Atti 1,15-26). A proposito d'una spiegazione recente, in Id., Nuovi saggi, 171.

[82] In Es 24,3-4 si parla di "tutto il popolo" e delle "dodici stele per le dodici tribù d'Israele".

[83] G. Schneider, o.c., 316.

[84] All'inizio degli Atti, Luca ripete l'elenco degli apostoli - già presentato nel vangelo (Lc 6,14-16), anche se con differenze nell'ordine dei nomi - non tanto perché, come afferma Haenchen (o.c., 159 ), il suo secondo libro sarebbe apparso separatamente, ma piuttosto per  introdurre ufficialmente i garanti della tradizione su Gesù e i testimoni autorevoli della sua risurrezione.
      Circa l'ordine seguito e le trasposizioni nell'elenco degli apostoli, si veda in particolare J.-P. Charlier, L'Evangile de l'enfance de l'Eglise. Commentaire de Actes 1-2, Bruxelles-Paris 1966, 77-81.

[85] Cf  J. Dupont, Il dodicesimo apostolo, a.c., 171.
      L'aggiunta  "e i figli" del codice D potrebbe riprendere un motivo presente nella tradizione biblica e giudaica antica. Secondo Dt 29,9-11 tutto il popolo sta davanti al Signore per rinnovare l'alleanza: "tutti gli israeliti, i vostri bambini, le vostre mogli..." (cf anche Dt 31,11-12); Giuseppe Flavio racconta che “gli israeliti insieme con le mogli e i figli attendevano con gioia la Torah (Ant. Giud., III, 5.1-2). Mosè, sceso dal monte, radunò tutta l'assemblea: "il popolo con le mogli e i figli, per ascoltare il Signore che avrebbe parlato loro" (ivi, III, 5.4).
      A proposito del passaggio del mare, inoltre, il targum e il midrash - rileggendo il salmo 68,25-28 applicato all'evento della liberazione - affermano che gli israeliti  proruppero nel canto insieme con le donne e i bambini, anche quelli ancora in seno alle madri.
      Questo sfondo potrebbe essere significativo per spiegare l’aggiunta “i figli” - dopo le donne - nel nostro testo. Nella Pentecoste, al momento di ricevere lo Spirito, come un tempo ai piedi del Sinai, tutti senza distinzione, comprese le donne con i loro figli, sarebbero chiamati a ricevere la Legge e a far parte dell'alleanza (cf A. Serra, Dimensioni mariane del mistero pasquale, Milano 1995, 88-91; cf  Id., E c'era la madre di Gesù..., 444-447.

[86] Nell' Alleanza nuova, tutti conosceranno il Signore, dal più piccolo al più grande (cf Ger 31,34).

[87] Cf  At 12,12; 16,1 (cf 1Tm 1,5; 3,14-17); 16,14-15; 21,9).

[88] Alla figura di Maria riserviamo un’attenzione particolare: sembra che ciò risponda alle intenzioni di Luca. Egli che aveva posto in notevole rilievo la madre di Gesù nei racconti dell'infanzia e poi l'aveva lasciata quasi  in ombra nel resto del vangelo, la presenta nuovamente qui in posizione privilegiata, accanto agli apostoli,  e in seguito non la nomina più. Ciò può apparire sconcertante. A noi invece sembra che la figura di Maria esca in qualche modo dal contingente per assumere una dimensione teologica e simbolica, che la colloca nel cuore del mistero della salvezza e della comunità ecclesiale, accanto agli apostoli primi testimoni della risurrezione di Gesù. 

[89] Cf J.-P. Charlier, o.c., 138-14. Charlier stabilisce un parallelismo piuttosto elaborato, ma in fondo convincente tra At 1,1-2,13 e Lc 1-2. La funzione di questi "racconti dell'infanzia" nei confronti del resto del vangelo e rispettivamente degli Atti, è molto simile. Lc 1-2 rappresenta una specie di  microevangelo, una miniatura dove si trovano in abbozzo le grandi linee e i temi maggiori del vangelo, ma in maniera velata e sottile. La stessa cosa si può dire per il "vangelo dell'infanzia della Chiesa". Luca vi ha enunciato, in una cinquantina di frasi, con grande varietà, le coordinate della sua ecclesiologia e le articolazioni principali della sua seconda opera (cf ivi, 139-140).

[90] Cf R. Kugelman, The Hebrew Concept of Corporate Personality and Mary, the Type of the Church, in Pont.Acad.MAr.Intern., Maria in Sacra Scriptura, Romae 1967, 179-184.

[91] Cf Lumen Gentium, 55.  S. Lyonnet, ChaireKecharitoméne, (Lc 1,28),  Bib 20 (1939)131-141;  H. Sahlin,  Jungfru Maria, Dottern Sion, in Ny Kyrklig Tidskrift  8 (1949) 102-124; N. Lemmo, Maria "figlia di Sion", a partire da Lc 1,26-29. Bilancio esegetico dal 1939 al 1982, in  Marianum 45 (1983) 175-258.

[92] “Ella è reclamata, si direbbe, dal ruolo di primo piano svolto nel vangelo dell’infanzia. Nell’ora in cui nasce la Chiesa...era necessario che Maria fosse citata con il titolo per il quale dev’essere ricordata” (J.-P. Charlier, o.c., 76).

[93] Si osservino i significativi contatti tra Lc 1,35: "Lo Spirito santo verrà su di te / e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra” e At 1,8: “riceverete potenza  dallo Spirito che verrà su di voi”. Tra i due testi così disposti è possibile scorgere anche un’ideale figura chiastica, che rafforza ulteriormente il parallelismo. Non è pertanto da escludere una “intenzionale rispondenza tra le due espressioni” (cf G. Schneider, o.c., 279, nota 37).
      
Nella presenza di "Maria, la madre di Gesù" a Pentecoste, nel momento in cui - secondo Luca - viene effuso lo Spirito e nasce la Chiesa, si potrebbe scorgere un certo parallelismo con la scena del Calvario di Gv 19,25-27.30 ove "la madre" di Gesù - nell' ora in cui egli "spirò" (v. 30) - fu proclamata madre del discepolo amato. Resta comunque vero che lo spirito "trasmesso" (parédoken) da Gesù, quando "tutto è compiuto" (v. 30) è solo preludio all'effusione dello Spirito da parte del Risorto (Gv 20,22; cf 7,39; 14,26; 16,17.8).

[94] Secondo Mc 6,3 (cf Mt 13,55), i “fratelli” di Gesù sarebbero: Giacomo, Josè, Giuda e Simone. Mc 3,31 e par. citano, insieme con la madre di Gesù, anche “i suoi fratelli”, con l’articolo, ma senza nominarli, appunto come in At 1,14.

[95] Il fatto che essi siano menzionati dopo le donne, insinuerebbe il dubbio - secondo  Charlier - che Luca o la Chiesa abbia voluto emarginare, in qualche misura, i parenti del Signore (cf J.-P. Charlier, o.c., 76-77). Ma il testo non sembra autorizzare tali sospetti.

[96] C.M. Martini, Atti degli Apostoli, Roma  51979, 62, nota 14.

[97] Si pensi, in particolare, alla figura di Giacomo, "fratello del Signore" che presiede la stessa comunità (cf At 12,17; 21,18). Si tenga presente inoltre che - fatto non meno significativo - a Giacomo succede Simeone, "cugino del Signore" (cf Eusebio,  Stor. Eccl., IV, 22, 4): "La Chiesa di Gerusalemme annette dunque un'importanza decisiva ai legami del sangue; in assenza del "Signore" è al suo parente più stretto che spetta l'autorità...Ma il punto di vista di Luca è diverso. Egli mira a collegare Giacomo a Pietro. La menzione ch'egli fa del personaggio in 12,17 ha solo lo scopo di preparare il ruolo ch'egli svolgerà nel "concilio" di Gerusalemme" (cf J. Dupont, I ministeri della Chiesa nascente, a.c., 148).

[98] Per l'aspetto edificante del libro degli Atti, cf  E. Haenchen, o.c., 114-120.

[99] Cf ivi, 161.

[100] "...ed erano continuamente nel tempio, lodando Dio".

[101] Alla preghiera, il testo aggiunge la diaconia della parola, ribadendo l'elemento tipico del ministero apostolico: rendere testimonianza alla risurrezione del Signore (cf At 1,22).

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