UNA RINNOVATA PIETA' MARIANA
PER IL TERZO MILLENNIO

 

Premessa

L'augurio di Giovanni Paolo II (Omelia del 24 settembre 2000).
Il tema che mi è stato affidato: «Una rinnovata pietà mariana per il terzo millennio», mi rievoca la domenica del 24 settembre 2000 quando mi trovavo in piazza san Pietro per la solenne celebrazione eucaristica presieduta da Giovanni Paolo II a conclusione del XX Congresso Mariologico Mariano Internazionale. Erano presenti migliaia e migliaia di pellegrini, tra cui i rappresentanti di tutti i santuari del mondo. In quel clima di intensa spiritualità ho accolto con animo disponibile e grato quanto il Papa andava dicendo nell'omelia. «Tra i frutti di questo anno di grazia - diceva Giovanni Paolo II - accanto a quello di un più forte amore per Cristo, ci sia anche quello di una rinnovata pietà mariana». Da allora quest'ultima espressione, che costituisce il titolo della presente conversazione, mi è risuonata più volte in cuore, mi ha stimolato a penetrarne il significato, mi ha fatto intravedere la sua efficacia per la nuova evangelizzazione.

Sollecitati dalle parole di augurio del Papa, ci proponiamo questa sera di prendere coscienza delle ragioni sottese al rinnovamento della pietà mariana. Un tema in verità tanto trattato nella nostra epoca: da parte del Magistero della Chiesa, e alla sua luce, da parte di teologi, liturgisti, iconografi, operatori di pastorale. Una cosa è certa: il rinnovamento non è suggerito da smania di innovazioni, ma dal desiderio di migliorare il culto che ogni generazione cristiana è chiamata a rendere alla Madre del Signore, la Benedetta dell'Altissimo.

Il prospetto dell'itinerario che seguiamo l'ho delineato sul foglio che avete tra le mani. Dapprima richiameremo i punti essenziali su cui far forza per una rinnovata pietà mariana, e cioè le direttive del Magistero della Chiesa; verranno poi presentati alcuni esempi di pietà mariana meritevoli di particolare attenzione; quindi si concluderà con il ribadire che un'autentica pietà mariana porta necessariamente a «imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale», come sottolineava Giovanni Paolo II nell'Omelia citata.

I. Gli orientamenti del Magistero sulla pietà mariana

La prima costatazione da fare è che oggi siamo provocati dallo stesso problema avvertito da Francesco Suarez († 1617), giustamente considerato padre della mariologia sistematica: e cioè di come saldare teologia e pietà mariana. Suarez infatti era convinto che la pietà senza la teologia è debole e vuota, mentre la teologia senza la pietà è sterile e inefficace. In questi ultimi 35 anni il Magistero ha donato alla Chiesa delle perle che potrebbero squarciare da sole ogni oscurità e illuminare un cammino di autentica pietà mariana. Mi riferisco in particolare alla costituzione Sacrosanctun concilium (4 dicembre 1963), al cap. VIII della Lumen gentium (21 novembre 1964), alla Marialis cultus di Paolo VI (2 febbraio 1974), alla Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II (25 marzo 1987), agli Orientamenti e proposte per la celebrazione dell'Anno mariano della Congregazione per il culto divino (1° aprile 1987). Chi vuol riflettere su Maria, parlare su di lei o esprimere forme proprie in suo onore non può più prescindere da questi documenti. Il filo rosso che li lega tra loro è l'intento di collegare la devozione a Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.
Per ovvie ragioni limitiamo l'attenzione alla LG e alla MC.

1. Le vie della pietà mariana segnalate dal Concilio Vaticano II (LG 66-67)

Partiamo da un riferimento d'obbligo: la lettera apostolica Novo millennio ineunte promulgata da Giovanni Paolo II il 6 gennaio 2001. E si comprende subito il motivo. Dei 59 numeri di cui si compone il documento, a noi interessa il n. 57 introdotto dal titolo «Nella luce del Concilio». «Quanta ricchezza, carissimi Fratelli e Sorelle, negli orientamenti che il Concilio Vaticano II ci ha dato!», dice ammirato il Papa. E prosegue: «Per questo, in preparazione al Grande Giubileo, ho chiesto alla Chiesa di interrogarsi sulla recezione del Concilio (cf. TMA 36). È stato fatto? [...}. A mano a mano che passano gli anni, quei testi non perdono il loro valore né il loro smalto. È necessario che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati, come testi qualificati e normativi del Magistero, all'interno della Tradizione della Chiesa. A Giubileo concluso sento più che mai il dovere di additare il Concilio, come la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX: in esso ci è offerta una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre» (NMI 57).

La nostra risposta a Giovanni Paolo II circa il rinnovamento della pietà mariana passa attraverso la tenace penetrazione degli insegnamenti del Magistero, segnatamente del cap. VIII della Lumen gentium, interamente dedicato alla Vergine, perché il culto verso la Madre di Dio incida sul rinnovamento della vita cristiana e offra la base per un dialogo ecumenico. Non dimentichiamo che Paolo VI ha chiamato il cap. VIII «vertice e coronamento della costituzione della Chiesa, inno incomparabile di lode in onore di Maria».

Il Concilio vi presenta una sintesi vasta della dottrina cattolica circa il posto che Maria occupa nel mistero di Cristo e della Chiesa e non evita di toccare l'argomento della pietà mariana, spesso offuscato da indebita passionalità o noncuranza. I numeri 66 e 67, sobri, ma in linea di chiarificazione e di equilibrio, sottolineano:

- la legittimità della pietà mariana (tre fondamenti: teologico, storico, biblico);
- la sua natura (un culto «del tutto singolare» e quindi superiore a quello reso agli angeli e ai Santi, tuttavia è culto «essenzialmente» distinto e inferiore rispetto al «culto di adorazione, prestato al Verbo incarnato, così come al Padre e allo Spirito Santo»);
- le sue espressioni principali (quelle approvate e raccomandate dal Magistero);
- le sue normali fonti d'ispirazione (studio della Scrittura, dei santi Padri e Dottori e delle liturgie della Chiesa, condotto sotto la guida del Magistero).

Vi è detto con chiarezza che la fede e la devozione sono due lati inscindibili dell'unico sentire cristiano. La devozione non è altro che un consapevole espandersi e maturare della fede battesimale: anch'essa partecipe alla pienezza e all'universalità del dogma. Pure nei confronti della pietà mariana la Chiesa non inventa, ma discopre: in un incessante contatto con la realtà soprannaturale.

Inoltre i due numeri affermano che il culto alla santa Madre di Cristo non è sterilmente chiuso in se stesso, ma è “relativo” a quello verso Cristo e il Padre e lo Spirito. Questo significa, tra l'altro, che per ogni anima sensibile e attenta ai valori evengelici, il culto mariano non può essere giudicato un accessorio qualsiasi della vera pietà e neppure facoltativo, tanto meno una deviazione, perchè deriva - come avverte il Concilio - «dalla vera fede» (LG 67). Anzi esso rischiara ed orienta la vita spirituale nel senso di una semplicità essenziale e di una carità disinteressata, orienta quindi e pacifica nel profondo il corso dell'esistenza.

Uno dei fondamenti del vero culto mariano, come evidenzia il Concilio stesso, sta nelle parole profetiche di Maria: «D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose mi ha fatto l'Onnipotente» (Lc 1,48). La glorificazione della vergine Madre è condizionata dal riconoscimento, dall'accettazione e dalla proclamazione delle “grandi cose” operate in lei dall'Altissimo. Nella figura di Maria si coglie sul vivo, senza equivoci, tutto il significato del mistero del Verbo incarnato («Chi non crede che santa Maria è la madre di Dio è fuori del raggio della divinità», sottolinea Gregorio di Nazianzo). Ed è meraviglioso sorprendere sulle labbra di questa giovane, piena di Spirito Santo, il movimento primo della pietà che poi avrebbe investito tutte le generazioni cristiane, intente come lei a “glorificare il Signore” e ad “esultare di gioia” in lui, per aver adempiuto misericordiosamente la sua promessa (Magnificat).

Le vie della pietà mariana segnalate dal Concilio si attuano specialmente nella preghiera: nella liturgia, anzitutto, cioè nella preghiera solenne e universale di tutta la comunità dei fedeli; e poi nelle varie espressioni devote dei singoli e dei gruppi particolari. Ambedue le forme sono legittime, anche se il primato spetta alla liturgia, ove scorre la linfa più pura della tradizione e la parola di Dio diviene perennemente attuale e assimilabile: anche a beneficio della contemplazione e della preghiera privata, le quali devono muoversi nel suo alone. L'importanza della memoria della Vergine nella preghiera liturgica è riassunta al n. 103 della Sacrosanctum concilium.

Ultimo elemento su cui invito a soffermare l'attenzione è il ricordo della tradizione ecclesiastica sulla venerazione delle immagini sacre. L'uso delle icone risponde alla natura umana, composta di materia e di spirito, e perciò aiutata dalle cose visibili per elevarsi all'amore delle cose spirituali. «Ciò che la parola comunica attraverso l'udito, la pittura lo mostra silenziosamente attraverso la rappresentazione» (Basilio il Grande). Importante è che tutto sia accettato con intima partecipazione nello Spirito Santo che prega nel cuore della Chiesa.

2. Le linee guida della Marialis cultus di Paolo VI (MC 24-39)

Redatta in uno stile semplice e chiaro, anche quando affronta argomenti impegnativi, l'esortazione apostolica Marialis cultus viene indirizzata da Paolo VI a tutti i vescovi il 2 febbraio 1974, festa della Presentazione del Signore. L'oggetto, l'importanza e l'eco sono noti per il grato consenso mostrato dai pastori, per l'interesse riscosso presso i teologi e per l’autorevole punto di riferimento in campo mariano in questi anni di recezione del Concilio Vaticano II.

I principi fondamentali che vi ritornano con insistente ripresa si possono sintetizzare a tre:

1. la pietà verso la beata Vergine è un elemento intrinseco ed essenziale di quel culto che a buon diritto si chiama culto cristiano;
2. l'espressione di pietà verso la beata Vergine contiene elementi perenni, immutabili, ed elementi legati alla contingenza storica;
3. la pietà mariana ha grande efficacia pastorale.

Il rinnovamento della pietà mariana auspicato dalla Marialis cultus è delineato nella seconda parte (nn. 24-39), la più sistematica del documento. Essa raccoglie l'invito del n. 67 della Lumen gentium a considerare le forme non-liturgiche della pietà mariana. La Marialis cultus si mostra preoccupata che i pii esercizi siano sottoposti a opportuna revisione in modo tale che appaiano pervasi di ricchezza dottrinale, bellezza di forma, rispetto della tradizione ed insieme apertura alle istanze meritevoli del nostro tempo. Per inquadrare e facilitare tale compito, affidato alle Conferenze episcopali, diocesi, famiglie religiose, comunità dei fedeli (n. 24), Paolo VI formula alcuni principi ed orientamenti operativi, sui quali è utile spendere qualche parola.

«Occorre che la pietà mariana del popolo cristiano - dice Paolo VI - sia trinitaria, cristocentrica, ecclesiale» (cf. nn. 24-28). La nota trinitaria è un dato biblico fontale che la tradizione liturgica e teologica della Chiesa, in Oriente e Occidente, ha mirabilmente approfondito e sviluppato e che il Concilio Vaticano II ha riproposto con sintesi efficace, quando ha chiamato Maria, figlia prediletta del Padre, Madre del Figlio e sacrario dello Spirito Santo (cf. Lumen gentium 53). La pietà dei fedeli contempla con stupore questa impareggiabile dote trinitaria di Maria, che per questo viene venerata, come creatura santa e come volto materno e misericordioso di Dio Trinità.

La nota cristocentrica, anch’essa profondamente biblica, pone Maria in stretta relazione a Gesù, non solo come sua madre ed educatrice, ma anche come discepola e mediatrice. La pietà popolare, così come la liturgia e l’arte, ha sempre associato Maria e Gesù, considerandola come via, “odigitria”, guida al Signore. A ragione Maria può essere ritenuta maestra di vita spirituale per ogni fedele battezzato. Questa nota trinitaria e cristocentrica è indispensabile per la riuscita del dialogo ecumenico anche sul tema mariano.

La nota ecclesiologica, anch’essa di profonda radicazione biblica, vede Maria sia come madre, sia come membro e modello eminente della Chiesa. Il popolo cristiano vive questa dimensione mariana nella preghiera, nella comunione ecclesiale, nell’esperienza sacramentale. Soprattutto nella celebrazione del sacramento dell’eucaristia, Maria viene vista come la madre che nella Chiesa ha il compito carismatico di guidare i fedeli a Gesù e a Gesù eucaristico. In fondo, la finalità di ogni devozione mariana, di ogni pellegrinaggio ai santuari mariani, di ogni preghiera alla beata Vergine è proprio quella di avvicinarci a Gesù, di riceverlo nell’eucaristia, di nutrire la nostra vita spirituale del pane del cielo, «vero corpo nato dalla Vergine Maria», di rafforzare in tal modo le nostre intenzioni di bene e i nostri abiti virtuosi. La pietà mariana ed eucaristica forma nel popolo di Dio una vera e propria spiritualità di comunione e di grazia con Dio Trinità.

Dopo la presentazione delle note trinitarie, cristocentriche ed ecclesiali la Marialis cultus si sofferma con novità di vedute particolarmente feconde su quattro orientamenti (da tener presenti nell'opera di revisione e nella creazione di eventuali nuovi pii esercizi (nn. 29-39).

Con l'orientamento biblico si domanda che la pietà mariana sia lievitata dalla parola di Dio. L'impronta biblica non può limitarsi all'uso di testi e simboli tratti dalla Scrittura, ma «richiede che dalla Bibbia prendano termini e ispirazione le formule di preghiera e le composizioni destinate al canto; ed esige, soprattutto, che il culto della Vergine sia permeato dei grandi temi del messaggio cristiano, affinché, mentre i fedeli venerano colei che è Sede della Sapienza, siano essi stessi illuminati dalla luce della divina Parola» (n. 30).

Trattando dell'orientamento liturgico il Papa ricorda l'impegno di attuare il rapporto “liturgia e pii esercizi” (SC 13). Si tratta di armonizzare, sintonizzare e subordinare le devozioni alle azioni liturgiche. Sovrapporre-mescolare i pii esercizi con le celebrazioni liturgiche è una prassi chiaramente da disapprovare. Dice Paolo VI: «Avviene talora che nella stessa celebrazione del sacrificio eucaristico vengano inseriti elementi propri di novene o altre pie pratiche, con il pericolo che il memoriale del Signore non costituisca il momento culminante dell'incontro della comunità cristiana, ma quasi occasione per qualche pratica devozionale» (n. 31).

Significativo interesse deve prestarsi all'orientamento ecumenico: la pietà mariana non può misconoscere «l'ansia per la ricomposizione dell'unità dei cristiani» ed è pertanto chiamata ad acquisire «un'impronta ecumenica» (nn. 32-33).

Infine, quattro numeri sono ordinati a promuovere l'orientamento antropologico (nn. 34-37), ossia «l'attenta considerazione anche delle acquisizioni sicure e comprovate delle scienze umane». Quanto scritto da Paolo VI conserva ancor oggi la sua efficacia: si noti ad es. lo stimolo a riflettere sul rapporto tra la Vergine di Nazaret e la donna di oggi (n. 37).

Il Papa denuncia inoltre alcune deviazioni e atteggiamenti cultuali erronei: esagerazioni, vana credulità, pratiche puramente esteriori, sterile sentimentalismo (n. 38) e ribadisce lo scopo ultimo del culto alla beata Vergine. glorificare Dio e impegnare i cristiani a una vita del tutto conforme alla sua volontà (n. 39).

Sensibilità, intelligenza, lucidità contraddistinguono queste pagine “nuove”, tese a far incontrare gli uomini e donne di oggi col mistero dell' «umile e alta più che creatura», come la loda Dante.

II. Esempi di pietà mariana

Da quanto finora detto è chiaro che il rinnovamento della pietà mariana compete alla Chiesa o alle chiese locali - pastori e fedeli - nel cui ambito ha luogo una determinata manifestazione di devozione. Talora spetta a gruppi ecclesiali a carattere sopranazionali (Famiglie religiose) e richiede da parte dei responsabili studio, «sforzo, tatto pastorale, costanza e, da parte dei fedeli, prontezza ad accogliere orientamenti e proposte che, derivanti dalla genuina natura del culto cristiano, comportano talvolta un cambiamento di usi inveterati, nei quali quella natura si era in qualche modo oscurata» (MC 21).

In una esigenza di equilibrio tra rispetto della tradizione ecclesiale e attenzione alla sensibilità del nostro tempo, il rinnovamento delle forme di pietà mariana deve tener conto delle “note” e degli “orientamenti” proposti da Paolo VI nella Marialis cultus, orientamenti che esplicitano principi già contenuti nei documenti conciliari.

Tra le molteplici espressioni di devozione verso la Madre di Dio presentiamo tre esempi particolarmente significativi. Essi aiutano a vivere il mistero di Maria in tutta la sua ricchezza attraverso la preghiera, il canto, la devozione dello Scapolare.

1. La Corona dell'Addolorata

In primo luogo consideriamo un pio esercizio approvvato e consigliato dal magistero ecclesiale: la Corona dell'Addolorata. Come è noto, la Corona si articola essenzialmente di tre parti: introduzione, serie di “dolori”, conclusione, ognuna delle quali è composta a sua volta di vari elementi.

Tra le proposte celebrative sulla Corona dell'Addolorata in uso nelle comunità cristiane vale la pena soffermarsi brevemente sul nuovo formulario redatto dalla Commissione liturgica dell'Ordine dei Servi di Maria secondo i criteri teologici e pastorali, storici e letterari indicati dal magistero postconciliare. In esso traspare afflato biblico e ispirazione liturgica; rigoroso rispetto dei dati storici e vigile attenzione alle istanze del nostro tempo; accoglienza dei risultati di una sana antropologia. È stato composto per celebrare da una particolare angolatura l'inesauribile mistero del dolore della madre di Dio.

Il motivo conduttore del formulario infatti va individuato nella categoria biblica del “rifiuto”. Di profonda valenza teologica, il rifiuto è presente nella vita di Gesù e di Maria, sempre uniti anche in quello che Giovanni Paolo II chiama il “Vangelo della sofferenza” (Salvifici doloris 25). Dinanzi a Cristo, ieri oggi domani, tutti - uomini e donne - sono chiamati a pronunciarsi: a stare con lui o contro di lui. Ma spesso Cristo è rifiutato: «Venne tra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11).

La Vergine è coinvolta nel rifiuto di cui è oggetto suo Figlio. E la Corona celebra l'«angosciante riverbero sulla Madre del rifiuto subito dal Figlio». Così nel primo dolore si contempla il rifiuto subìto da Maria partoriente da parte degli abitanti di Betlemme; nel secondo dolore, il rifiuto di Gesù, Salvatore dell'uomo, preannunciato da Simeone; nel terzo, il rifiuto di Gesù, neonato Messia, da parte di Erode; nel quarto, il rifiuto di Gesù, fratello dell'uomo, da parte dei suoi concittadini; nel quinto, l'abbandono di Gesù da parte dei discepoli; nel sesto, il rifiuto di Gesù da parte dei capi del suo popolo e quindi la morte sulla croce; nel settimo, la persecuzione di Gesù, che si prolunga nei suoi discepoli.

Il rifiuto evoca conflitto, scontro, combattimento. La vita di Cristo è stata una continua lotta: contro Satana, contro il male, contro il peccato. Anche la vita della Vergine è stata dura lotta, come aveva annunziato la parola profetica del Genesi: «Porrò inimicizia tra te e la donna, fra la sua discendenza e la tua» (Gn 3, 15).

La categoria del rifiuto è presente nell'Antico e nel Nuovo Testamento. Nel formulario ogni dolore è introdotto in exergo da versetti dell'Antico Testamento, quale tipo e profezia della passione di Cristo. Meditando i dolori l'orante è invitato a cogliere di ognuno sia l'anticipazione anticotestamentaria, sia la proiezione operante nella vita della Chiesa. I dolori della Vergine non sono fatti privati: riguardano la storia della salvezza. «Non vi è episodio evangelico riguardante Maria che non possa e non debba essere letto in rapporto al mistero di Cristo e della Chiesa».

Rifiuto e lotta nella vita di Cristo, di Maria, della Chiesa. Se il rifiuto si manifesta nei confronti dell'orante, la recita della Corona aiuterà a comprendere che egli continua a scrivere il “Vangelo della sofferenza”, ad esserne testimone. Egli sa che Dio trasforma la sofferenza in motivo di salvezza: lo ha fatto per il Figlio, lo farà per le membra di suo Figlio. L'essere discepolo di Cristo comporta di sperimentare lungo la vita il mistero dell'incomprensione e di avvertire acuto, nel corpo e nello spirito, il morso del dolore. Così è stato per Gesù e per Maria. La vocazione del cristiano non è quella di eliminare la sofferenza umana, ma di rivelare che per mezzo di Gesù è diventata via verso la gloria di Dio. Perseverando nell'amare, nel perdonare e nel pronunziare con fede, pur con sforzo, il fiat, anche la pagina dell'orante, scritta sul “Vangelo della sofferenza”, sarà efficace e salvifica.

Valore spirituale. Come altre preghiere (Ave Maria, Angelus Domini, Rosario) anche la Corona dell’Addolorata è una preghiera biblica: dal Vangelo sono desunti sia gli episodi di dolore e di salvezza via via offerti alla contemplazione, sia le formule di preghiera che ne costituiscono la trama essenziale: il Padre nostro e l’Ave Maria.

Pio esercizio mariano, la Corona ha un chiaro orientamento cristologico-ecclesiale, che aiuta a scoprire il significato salvifico del dolore della Vergine nell’ambito del mistero di Cristo e della Chiesa. Ha altresì una nota antropologica che porta a comprendere il valore della sofferenza della madre del Signore in rapporto alla condizione esistenziale della persona umana, al suo travaglio e alle sue angosce, alle sue aspirazioni e al suo destino.

Supposta una corretta celebrazione, il valore spirituale e l’efficacia pastorale della Corona sono molteplici: i fedeli, attraverso la contemplazione della “compassione” della Vergine, si avvicinano a uno degli aspetti essenziali del mistero pasquale: la passione salvifica di Cristo; vengono illuminati sul mistero del dolore con la luce che promana dal modo singolare con cui Maria di Nazaret, piena di fede, ne visse l’esperienza; si rendono partecipi alle sofferenze dei fratelli, perché la celebrazione del dolore della Vergine implica l’attenzione operosa verso chi soffre; sono provocati ad avere sentimenti di misericordia, perché nulla, dopo la contemplazione della bontà misericordiosa di Cristo e l’amorosa compassione della Vergine, dispone l’animo alla riconciliazione: presso la croce Maria è la “Vergine del perdono”.

2. Il canto «Salve, o dolce Vergine»

La Vergine da sempre è motivo ispiratore di inni, di poesie, di canti. Interpretare il fiorire dei canti mariani lungo il fluire dei secoli sarebbe interessante: dimostrerebbe la continuità tra la pietà del passato e quella più recente, e tra questa e i nostri giorni. Tuttavia limitiamo la nostra riflessione ad alcuni aspetti generali dei canti mariani per poi indugiare su un canto dei nostri giorni.

Oggi bisogna convenire sul fatto che l'impulso creativo auspicato dall'esortazione apostolica Marialis cultus di Paolo VI ha trovato rispondenza e fecondità. In genere si riscontrano nei canti gli orientamenti proposti dalla Chiesa nel post-concilio. I canti mariani risultano sostanziati di parola di Dio. Attraverso l'universale linguaggio della musica, della preghiera e del canto, la parola di Dio diventa più facile, più comprensibile, più vicina al cuore dell'orante. I canti narrano gli eventi salvifici celebrati nelle festività mariane e in diversi tempi liturgici, presentando un orientamento antropologico che concorre ad eliminare «una delle cause del disagio che si avverte nel campo del culto alla Madre del Signore» (MC 34). È fondamentale la sottolineatura della figura evangelica di Maria, ossia di donna nei suoi atteggiamenti più veri: fedele alla Parola, forte nel dolore, pellegrina nella fede... In tale contesto Maria diventa specchio delle attese delle donne e degli uomini del nostro tempo, modello dell'esistenza cristiana, progetto compiuto di ciò che dovremmo essere, meta di ciò che vorremmo essere.

Quasi sempre i canti mariani non solo presentano i vari momenti della vicenda esistenziale di Maria, ma anche conducono a mettersi in sintonia con lei, affinché con la sua preghiera ottenga al popolo cristiano di vivere con responsabilità e impegno il Vangelo.

I monaci, dopo una lunga esperienza, erano giunti a capire che la parola cantata eleva lo spirito meglio di quella letta. Basti per tutti l'espressione di s. Agostino: «Chi canta prega due volte». Paolo VI, rivolto all'Assemblea Plenaria della CEI, ha detto: «Chi canta prega, e chi prega conserva la vita religiosa, la morale, ne percepisce l'intima bellezza, se ne entusiasma nella fusione dei cuori che il canto sa suscitare con la sua potente e suggestiva pedagogia» (17 maggio 1972).

Dalla Bibbia - afferma la Marialis cultus - devono prendere termini e ispirazione le formule di preghiera e le composizioni destinate al canto (cf MC 30). In questa prospettiva si colloca l'inno «Salve, o dolce Vergine» composto da don Marco Frisina in occasione dell’Anno mariano (1987-1988). L'inno riflette la formazione biblica del giovane compositore, che intende fare del canto un veicolo privilegiato per l’annuncio della parola di Dio.

In realtà, la composizione poetica si presta come valido aiuto per comprendere maggiormente le inesauribili ricchezze della Bibbia. Tutto l’Inno è percorso da un intimo senso di stupore e di venerazione nei confronti della “dolce Vergine e Madre”; invita “tutta la terra... la creazione... e i cori degli angeli” a esultare perché Maria è il “Tempio santo del Signore”, il “trono altissimo”, l’ “altar purissimo”, la “fonte sigillata”.

Di questa serie di metafore fermiamo l’attenzione su quella del “Tempio del Signore”, di origine biblico-patristica. Essa evoca il tempio di Gerusalemme edificato dal re Salomone: assicurava la presenza di Dio in mezzo al popolo (cf 1Re 6,12-13) e garantiva la protezione divina sulla città santa (cf Sal 46,2-7). Tale immagine è figura di realtà neotestamentarie, come: Cristo, la Chiesa, l’uomo, fatte da Dio proprio tempio (cf Gv 2,19-21; 1Pt 2,5; 1Cor 3,16-17), non ultima Maria di Nazaret, il cui grembo verginale diviene - per il dono della maternità divina - presenza del Verbo di Dio (cf. I. Calabuig).

Nella seconda strofa del nostro Inno si riconosce esplicitamente a Maria tale verità con la frase "Tempio santo del Signore". E questo per un duplice motivo: portando Cristo in grembo è stata il vero tempio di Dio; facendo tesoro della parola di Dio ha fatto germogliare dal proprio cuore, quale altare dell’Altissimo, "l’albero della vita": Cristo, la nuova e definitiva dimora di Dio con gli uomini (cf Ap 21,3).

3. Lo Scapolare del Carmine

Nella storia della pietà mariana si incontra la "devozione" a vari scapolari, tra cui spicca quello della beata Vergine del Monte Carmelo. La sua diffusione è veramente universale e anche ad essa si applicano senza dubbio le parole conciliari sui pii esercizi "raccomandati lungo i secoli dal Magistero".

Lo scapolare carmelitano è una forma ridotta dell'abito religioso dell'Ordine dei Frati della beata Vergine del Monte Carmelo: indica una sorta di partecipazione dei fedeli alla vita della famiglia carmelitana, con la quale si sentono in sintonia ed amicizia.

Lo scapolare è segno esteriore dell'identità carmelitana e dell'indole mariana dell'Ordine; è simbolo del particolare rapporto, filiale e confidente, che si stabilisce tra la Vergine, Madre e Regina del Carmelo, e i devoti che si affidano a lei in totale dedizione e ricorrono pieni di fiducia alla sua materna intercessione; ricorda il primato della vita spirituale e la necessità dell'orazione.

Lo scapolare è imposto con un particolare rito della Chiesa, in cui si dichiara che esso «richiama il proposito battesimale di rivestirci di Cristo, con l'aiuto della Vergine Madre, sollecita della nostra conformazione al Verbo fatto uomo a lode della Trinità, perché portando la veste nuziale, giungiamo alla patria del cielo».

La consegna dello scapolare del Carmelo - come quella di altri scapolari - «va ricondotta alla serietà delle sue origini: non deve essere un atto più o meno improvvisato, ma il momento conclusivo di un'accurata preparazione in cui il fedele consapevole della natura e degli scopi dell'associazione a cui aderisce e degli impegni di vita che assume».

In occasione della ricorrenza dei 750 anni dalla consegna dello Scapolare a san Simone Stock, Giovanni Paolo II ha inviato il 25 marzo - sei giorni fa - un messaggio all'Ordine del Carmelo che ha dedicato l'anno 2001 alla Vergine Maria. Il carmelitano Bruno Secondin commenta nei seguenti termini la parte del testo papale che riguarda “l'umile segno” dello Scapolare.

Anzitutto - dice Secondin - si definisce questa devozione come «un tesoro per tutta la Chiesa: per la sua semplicità, per il suo valore antropologico e per il rapporto con il ruolo di Maria nei confronti della Chiesa e dell'umanità». Evidente qui l'approccio non puramente devozionale, ma attento alla forza dei segni, alla simbologia antropologica del “rivestire”, alla relazione con i timori e le speranze dei credenti. Non è pertanto una specie di amuleto: è una risposta ai bisogni profondi del cuore umano.

E questa risposta, secondo il Papa, passa - egli continua - attraverso alcune linee guida:

- è un abito: cioè una forma simbolica di “rivestimento” che richiama la veste dei Carmelitani (lo scapolare ne è una parte significativa). Per questo è anzitutto aggregazione, condivisione di ciò che segnala l'identità esterna; ma per condividerne le ragioni di vita, l'impegno a «servire con cuore buono e generoso il Signore Gesù» (Regola del Carmelo, Prologo).

- è affidamento e dedicazione alla Vergine santissima, per vivere sotto la sua protezione «non solo lungo il cammino della vita, ma anche nel momento del transito verso la pienezza eterna»;

- soprattutto è alleanza e comunione: tra Maria e i fedeli, per una compagnia che conservi la memoria di quanto gli occhi e il cuore della Madre hanno visto e conosciuto degli eventi della salvezza, e per un «impegno quotidiano di rivestirsi interiormente di Gesù Cristo», diventandone testimoni fedeli e discepoli contemplativi.

In questo modo parlando dello Scapolare, in connessione con la grande tradizione spirituale carmelitana si potrebbe parlare di una ripresa della identità battesimale, nei suoi impegni più decisivi. Ma anche si potrebbe vedervi espresso il bisogno di relazioni calorose, fraterne, di corresponsabilità con una grande famiglia religiosa. E soprattutto si percepisce come una devozione di questo genere - quando è vissuta in modo autentico dice il Papa -, non può che generare apostoli appassionati, contemplativi dal cuore mite, testimoni di una speranza che fin da ora fermenta una fraternità universale. E tutto sotto lo sguardo dolce e misericordioso della “Mater et Decor Carmeli”.

Conclusione

La pietà mariana porta a «imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale».

A conclusione del nostro itinerario non possiamo che confermare quanto Giovanni Paolo II auspicava nell'omelia citata all'inizio della nostra conversazione: «Sì, Maria deve essere molto amata e onorata, ma con una devozione che, per essere autentica, deve esprimersi nello sforzo di imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale».

È quanto scaturisce dall'insegnamento del magistero e dagli esempi di antiche e nuove forme devote in suo onore. Lo sforzo di imitare Maria è la conseguenza di chi ha riconosciuto la santità esemplare della sua vita e della sua testimonianza. Imitarla diventa allora “camminare con lei”, “seguire lei”, “innalzare gli occhi a lei”, “la faccia ch'a Cristo più si somiglia”, al dire di Dante (Paradiso, XXXII, 85-87).

La pietà mariana autentica spinge necessariamente il fedele a imitarla, perché Maria è esempio di virtù per tutta la comunità dei credenti. La Marialis cultus a conclusione del documento riporta un brano che indica il dinamismo pastorale che si sprigiona da un autentico culto, presentandola come modello di virtù solide, evangeliche: «La fede e l'accoglienza docile della parola di Dio; l'obbedienza generosa; l'umiltà schietta; la carità sollecita; la sapienza riflessiva; la pietà verso Dio, riconoscente dei doni ricevuti, offerente nel tempio, orante nella comunità apostolica; la fortezza nell'esilio, nel dolore; la povertà dignitosa e fidente in Dio; la vigile premura verso il Figlio, dall'umiliazione della culla fino all'ignominia della croce; la delicatezza previdente; la purezza verginale; il forte e casto amore sponsale. Di queste virtù della Madre si orneranno i figli, che con tenace proposito guardano i suoi esempi per riprodurli nella propria vita» (MC 57).

Se si tratta di autentica pietà anche la vita spirituale sarà autentica; se è discutibile la pietà sarà problematica anche la vita. E la vera devozione si rifà sempre alla vita.

 

Ritorna alla Home page