INTRODUZIONE Parlare della questione femminile nella Chiesa non è semplice e ciò almeno per due motivi: anzitutto per la grande mole di scritti dedicati al problema; in secondo luogo perché il tema stesso può essere affrontato attraverso diverse ottiche: storica, morale, antropologica, sociologica, ecc. Il tema che intendo sviluppare è - come dice il titolo - di natura liturgica e antropologica, ma ci si accorgerà presto di come esso chiamerà in causa aspetti legati alla storia ed alla morale. In effetti, come nota A. Lobato, intorno alla realtà della donna «possiamo avvicinarci con tre giri diversi: uno teologico, che ci fa scoprire la dimensione teologale dell’essere donna, un altro antropologico, nel quale vediamo la differenza ontologica del femminile nella sua reciprocità con il maschio, e un terzo etico che ci aiuta a scoprire il compito della donna nel suo realizzarsi come persona».[1] Descrivo perciò il metodo seguito: avendo quale testo-base la Marialis Cultus (= MC) faremo degli excursus storici in avanti ma anche indietro nel tempo che ci aiuteranno a vedere la comprensione della problematica da parte della Chiesa ufficiale come anche della teologia che vi ha riflettuto sopra. Trent’anni infatti ci separano dalla MC promulgata il 2 febbraio 1974. Il tutto però lo inquadreremo in tre parti: una panoramica sulle mutate condizioni antropologiche, il ruolo della donna in connessione con il culto alla Madre di Dio con riferimenti a testi liturgici e, da ultimo, ci soffermeremo sul modo con il quale è possibile vedere in Maria l’umanità realizzata. I. MUTAMENTO DI CONCEZIONI ANTROPOLOGICHE All’interno della MC la tematica antropologica si colloca quale quarta dimensione all’interno della trattazione che Paolo VI fa relativamente al rinnovamento della pietà mariana. Tale dimensione è preceduta, nell’ordine, da quella pneumatologica (relativa allo Spirito Santo, nn. 26-27), ecclesiologica (nn. 28-30), ecumenica (nn. 31-33). Lungo la sua storia, la Chiesa si è sempre dovuta confrontare con il contesto nel quale di volta in volta era calata. Perché questo, potremmo chiederci ? La risposta va cercata nella Rivelazione, cioè in quell’evento attraverso il quale Dio incontra l’uomo nella storia e ciò a partire dalla creazione. Questo conferisce alla stessa Rivelazione quel carattere di paradosso - felicemente individuato da R. Latourelle - secondo il quale essa è, insieme, unità e molteplicità. Unità intesa come azione proveniente da un unico Dio e molteplicità che consiste nell’adattamento che la Rivelazione attua nel rendersi comprensibile con segni gesti e simili.[2] È chiaro che in tal adattamento dell’unica Rivelazione incide in maniera molto rilevante la cultura. Non è un caso che la Chiesa - nel suo impegno di diffondere il Deposito, mantenendone intatta la sua carica di significato e la sua valenza salvifica - deve fare i conti ed osservare attentamente quelli che sono i cambiamenti epocali nei loro costitutivi. Soprattutto con il Vaticano II, la Chiesa ha operato due innovazioni profonde: ha ricompreso la Rivelazione e le ha donato una nuova accezione che mettesse in evidenza la dimensione dialogica, personalistica e trinitaria; in secondo luogo ha fatto propri quegli stimoli che le provenivano dal mondo esterno tenendo conto di quelle istanze che si imponevano all’attenzione pubblica. Fra le tante istanze un posto rilevante è ricoperto dalla questione femminile che gradualmente si viene ad imporre nei documenti magisteriali ancora prima del Concilio Vaticano II. In quel documento considerato il testamento di Giovanni XXIII - l’Enciclica Pacem in terris (datata 11 aprile 1963) - scritto a pochi mesi dall’inizio del Concilio, il lungimirante e saggio Papa poneva la questione della donna quale uno dei tre fenomeni che caratterizzano l’epoca moderna dopo l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici portata avanti con la rivendicazione dei diritti e prima della trasformazione in atto dell’intera umanità con la progressiva affermazione di comunità politiche indipendenti. Scrive Giovanni XXIII: In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna infatti diviene sempre più chiara ed operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come istrumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica.[3] Con il Vaticano II abbiamo un più preciso inserimento della questione femminile nell’articolato panorama del mondo segnato da profondi mutamenti. Gli accenni più espliciti li troviamo nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes (= GS) che si occupa appunto dei rapporti tra la Chiesa ed il mondo contemporaneo. Si tratta di un documento molto importante che fa il punto sulla situazione del mondo e dell’uomo e su quei fermenti che hanno condotto al cambiamento. Sono soprattutto i nn. 6-10 che ci offrono il quadro d’insieme di quei mutamenti ordinandoli in quattro categorie: a) mutamenti sociali (GS 6): affermazione della società industriale e urbanizzazione, incremento dei mezzi di comunicazione sociali, emigrazione; b) mutamenti psicologici, morali e religiosi (GS 7): acuto senso critico, distanza dalla religiosità tradizionalmente intesa, sproporzione tra richiesta sociale e leggi vigenti; c) squilibri veri e propri (GS 8): tra visioni teoretiche e realizzazione pratica, tra generazioni all’interno di una famiglia, tra uomo e donna, tra diverse razze, tra paesi ricchi e paesi poveri; d) interrogativi dell’uomo (GS 10): dal cuore umano proviene lo squilibrio, domanda di senso della propria esistenza, lacerazione tra bene e male in cui si trova l’uomo tentativi di risposta con la propria ragione.[4] Se ci si fermasse qui, limitandoci a questo esame, non avremmo sbagliato, ma saremmo lontani dalla completezza. Occorre chiedersi quali siano state le cause di fondo. Esse sono evidenziate nella storia e nello svolgimento del pensiero dell’uomo e, in merito la risposta l’abbiamo dall’Enciclica Fides et Ratio (1998) soprattutto al cap. VII quando Giovanni Paolo II, dopo aver tracciato l’itinerario storico del rapporto fede-ragione, mette in evidenza la complessità delle attuali esigenze. È necessario che la Chiesa operi dinanzi alla crisi del senso provocato da tutta una serie di correnti di pensiero (razionalismo) che hanno staccato l’uomo da Dio donandogli l’illusione di potersi autorealizzare, facendo a meno non solo della religione, ma anche dei valori supremi, primo fra tutti quello della vita. Già nel 1995, nell’Enciclica Evangelium Vitæ (nn. 3-4), il Papa faceva il punto sulle minacce della vita frutto di una controcultura che ha dato frutti di distruzione, complice anche l’opinione pubblica che giustifica scelte contrarie tanto a Dio come all’uomo. Di qui il cambiamento presenta il suo duplice volto: positivo (se si parla dei progressi tecnico-scientifici posti e finalizzati al servizio dell’uomo), negativo (se si pone al centro la debolezza dell’uomo con tutto ciò che comporta in termini di peccato e la si assolve sotto la spinta e la provocazione di un progresso fine a sé stesso). A fare le spese di tutto questo universo di negatività sono gli strati più deboli di popolazione tra i quali la donna. Dopo secoli di fraintendimento, se non addirittura di vera e propria lontananza dalla considerazione da parte della Chiesa ufficiale, la donna e l’insieme delle sue problematiche sono ritornate prepotentemente (e, a volte, non solo in ambito cattolico segnate da certo sciovinismo[5]) all’attenzione, anche sotto la spinta dei vari movimenti di liberazione. Riprendendo la GS vediamo due accenni a questa delicata questione: al n. 9 è detto che «le donne rivendicano, dove ancora non l’hanno raggiunta la parità con gli uomini non solo di diritto, ma anche di fatto» e al n. 60: «le donne lavorano già in quasi tutti i settori della vita; conviene ora che esse siano in grado di svolgere pienamente i loro compiti secondo l’indole ad esse propria. Sarà dovere di tutti far sì che la partecipazione propria e necessaria delle donne alla vita culturale sia riconosciuta e promossa». L’interesse mostrato dal Concilio per la questione femminile trova il suo coronamento nel Messaggio alle donne di Paolo VI datato 8 dicembre 1965 nel quale, oltre a menzionare le varie vocazioni della donna, il Papa fa loro un pressante invito affinché si facciano strumenti di diffusione del portato conciliare nonché di pace.[6] Subito dopo la GS e prima della Marialis Cultus si colloca, nel 1968, la discussa Enciclica Humanæ Vitæ che, al n. 2, torna a parlare del mutamento nella considerazione della donna. Venti anni dopo si collocano a partire dal 1988 tre documenti molto importanti di Giovanni Paolo II: la lettera apostolica Mulieris Dignitatem, l’esortazione apostolica Christifideles Laici e, nel 1995, la lettera indirizzata alle donne dal titolo A ciascuna di voi, scritta a margine della IV Conferenza mondiale svoltasi a Pechino nell’estate di quell’anno. Singolare quest’ultimo documento che, scritto direttamente dal Papa, è una lode ed un ringraziamento alla donna, ma anche una meditata presa di coscienza di come essa sia stata oggetto di condizionamento e pregiudizio lungo i secoli, tanto da rendere difficile il suo cammino ed aver privato l’intera umanità delle «autentiche ricchezze spirituali»[7] delle quali la donna è portatrice. Si tratta perciò di imboccare un cammino di liberazione e questo non solo per la donna quale attrice e fautrice, ma da parte di tutti alla luce di due elementi che segnano l’incontro sempre fecondo tra l’uomo e Dio. Da un lato la presa di coscienza oggettiva della dignità della donna e, per altro verso, la luce della Parola di Dio che ci può dire chi sia la donna. Un aspetto già posto in rilevo da MC 37 quando afferma che «la lettura delle divine Scritture, compiuta sotto l’influsso dello Spirito Santo e tenendo presenti le acquisizioni delle scienze umane e le varie situazioni del mondo contemporaneo porterà a scoprire come Maria possa essere assunta a specchio delle attese degli uomini del nostro tempo».[8] Il lungo cammino fatto dalla Chiesa su questo tema della donna porta il Papa ad evidenziare alcuni funzioni ed ambiti nei quali la donna è protagonista. Accanto a quelli che sono i ruoli più tradizionali (madre, sposa, sorella e consacrata) compare la donna lavoratrice a diversi livelli. In un’ottica di progresso anche la dimensione dell’affettività e della maternità non possono essere assolutizzate, né tantomeno distaccate da quelle socio-etica e culturale-educativa. Ne scaturisce un ritratto a tutto tondo di quella che è la complessità della figura e del ruolo della donna, profondamente cosciente della sua importanza all’interno della società. II. RUOLO DELLA DONNA: CONTRASTO CON IL CULTO MARIANO ? È chiaro che se l’assetto dell’attuale cultura relativamente alla donna e ai suoi problemi presenta questi caratteri di emancipazione e di liberazione, alcune forme di religiosità e preghiera appaiono superate come di difficile accettazione sono quei vecchi modelli che ci presentano la donna relegata ad un’unica funzione: quella dell’ambiente domestico. La MC al n. 34 sottolinea almeno tre campi - accanto a quello domestico - nei quali la donna si viene affermando con certa determinazione: - politico; - sociale; - culturale-antropologico Dinanzi a questo scenario, prosegue MC 34, «ne consegue una certa disaffezione verso il culto alla Vergine e una certa difficoltà a pendere Maria di Nazareth come modello, perché gli orizzonti della sua vita - si afferma - risultano ristretti in confronto alle vaste zone di attività in cui l’uomo contemporaneo è chiamato ad agire».[9] È un’acquisizione che deve far riflettere ed operare. Potremmo allora porci questo interrogativo: è proprio incompatibile l’esigenza legittima della Chiesa (esigenza che si appoggia su una Tradizione consolidata e ricchissima di secoli e di autori) di un culto e di una venerazione alla Madre di Dio con quella che è la cultura femminile che si è imposta gradualmente ? Una risposta a questa domanda l’abbiamo su duplice strada: da un lato, dalla considerazione di tre documenti magisteriali[10] e, per altro verso, da alcuni testi di preghiera e riflessione spirituale che hanno tentato di conciliare le due entità in apparente contrasto. Andiamo con ordine ritornando al Concilio Vaticano II che ci fornisce il primo dei tre testi. Si tratta della Costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium dove, al n. 103, vengono sottolineati due aspetti: il mistero di Maria che va celebrato all’interno del ciclo annuale dei misteri di Cristo in quanto la Madre di Dio è congiunta con il Figlio. Quindi non isolare né assolutizzare impropriamente con una forma devozionale la persona della Madre di Dio, ma vederla, considerarla e contemplarla all’interno di tutta la Rivelazione. In secondo luogo - e collegato al precedente - l’esemplarità di Maria che le deriva dall’essere «frutto più eccelso della redenzione»[11] e creatura realizzata. Parlare in questi termini della Madre di Dio significa tornare allo specifico della Rivelazione che si realizza a partire dalla Creazione uscita intatta dalle mani di Dio e, come tale, libera dal peccato. Proprio in questa libertà ed assenza di colpa voluta e stabilita dal favore del Creatore è possibile leggere tutta la vicenda storica di Maria che la rende così singolare nella sua umanità. Comprendiamo allora l’importanza di un culto unitario che viene approfondito e disciplinato da un secondo testo conciliare che troviamo in LG al n. 67. Anche qui abbiamo un’esortazione ed una messa in guardia contro false strade e fraintendimenti di sorta. Esortazione, anzitutto, affinché vengano promossi il culto e le pratiche di pietà alla Madre di Dio e, successivamente, un’attenzione per non cadere nell’esagerazione ricordando che «la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né da una vana credulità, ma bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù».[12] Concetto centrale è dunque la fede quale risposta a Dio, ma anche conformazione ai suoi dettami, primo fra tutti il rendersi strumenti della sua salvezza, il collaborare al suo disegno avendo quale modello, totalmente immerso nella nostra umanità, la Vergine Maria. Essere, in una parola, mediatori che trovano la loro identità e forza nell’unico Mediatore che è Cristo (cf. I Tim 2,5-6) così come lo è stata Maria.[13] Il mondo ha bisogno di mediazioni che sappiano non solo far pervenire dei messaggi, ma illustrarne i contorni e le motivazioni per i quali vengono offerti. Un terzo testo che ci sembra importante è tolto dall’Enciclica Redemptoris Mater di Giovanni Paolo II. Il numero 48, pur essendo sostanzialmente una rilettura della dottrina conciliare, sottolineando la corrispondenza tra dottrina, vita e spiritualità, ribadisce sottilmente la circolarità che deve esserci tra lex credendi, lex orandi e lex vivendi con l’aggiunta della storicizzazione: «la spiritualità mariana, - dice il testo dell’Enciclica - al pari della devozione corrispondente, trova una ricchissima fonte nell’esperienza storica delle persone e delle varie comunità cristiane viventi tra i diversi popoli e nazioni su tutta la terra».[14] È chiaro qui il rimando all’universalismo di fondo che è nota del Cristianesimo. A nostro avviso, proprio qui è possibile cogliere un primo segno di sviluppo e una novità rispetto a MC 34: non si tratta più soltanto di guardare e tenere conto dei mutamenti storico-sociali, ma sono questi ultimi ad offrire materiale alla devozione e alla preghiera alla Madre di Dio. Si impone qui la categoria biblica del servizio che è tanto antica quanto nuova e sempre fonte perenne di ispirazione. Categoria che è parte integrante del carisma dei Servi di Maria e che compare in molti testi eucologici e spirituali che non restano nei confini dell’Ordine, ma sono diventati patrimonio della Chiesa universale. In essi alla lode alla Vergine si accompagna una equilibrata visione della donna conforme alle istanze del mondo contemporaneo. Possiamo citarne alcuni: Vigilia de Domina II Schema I Lettura: Vigilia de Domina II Schema II Lettura: Santa Maria, Santa Maria, umile Serva del Signore, donna umile e povera, gloriosa Madre di Cristo, benedetta dell’Altissimo, salve ! salve ! Vergine fedele, Vergine della speranza, grembo sacro al Verbo, profezia dei tempi nuovi, insegnaci unisci al tuo cantico le nostre voci ad essere docili alla voce dello Spirito e accompagnaci nel nostro cammino: a vivere nell’ascolto della sua Parola, per annunciare l’avvento del Regno attenti ai suoi richiami e la totale liberazione dell’uomo; nel segreto del cuore, per portare Cristo ai fratelli vigili alle sue manifestazioni e per raggiungere con essi nella vita dei fratelli, una più intensa comunione di amore; negli avvenimenti della storia, per magnificare con te la misericordia del Signore nel gemito e nel giubilo del creato. e cantare la gioia della vita e la salvezza. Vergine dell’ascolto, Vergine, arca dell’Alleanza nuova, creatura orante, primizia della Chiesa, accogli la preghiera dei tuoi Servi. [15] accogli la preghiera dei tuoi Servi.[16] Alcune espressioni presenti in entrambi i testi ci mostrano l’attuale situazione del popolo di Dio sempre più intenzionato a far sentire la propria voce nel quadro dei problemi più scottanti di oggi. Vari possono essere i contesti: di oppressione che chiede libertà, ma anche di più generale inquietudine che chiede risposte. Di questo il Concilio ne è cosciente come appare in GS 10. Maria in questo ci è maestra di lode ma, al contempo, è garante di quella speranza che permette all’uomo di oltrepassare il limite della sua natura ferita dal peccato. Profezia e dimensione escatologica proprie del messaggio salvifico si impongono urgentemente a partire da una situazione sociale e cosmica dove sembra prevalere incontrastato il male ed il peccato. È quanto noi ritroviamo nella conclusione di MC 37 in cui il cristiano - modellato sulla Vergine Santa - viene visto come pellegrino solerte, promotore della giustizia, testimone operoso di amore. Il contesto e la storia impongono perciò al credente delle scelte e questo ha precisi risvolti nel campo della preghiera, della contemplazione e della spiritualità, nonché delle tematiche che esse contengono. E qui vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II colloca quasi a conclusione della sua lettera alle donne, parole nelle quali fa confluire quegli aspetti che costituiscono quello che lui chiama il «genio della donna» che è comune tanto alle grandi figure femminili (e vengono menzionate S. Caterina da Siena e S. Teresa d’Avila) come a quelle semplici che esprimono la loro femminilità nel servizio. Proprio in questo va ricercata la grandezza antropologica della donna: essa, conclude il Papa: coglie la vocazione profonda della propria vita, lei che forse ancor più dell’uomo vede l’uomo, perché lo vede con il cuore. Lo vede indipendentemente dai vari sistemi ideologici e politici. Lo vede nella sua grandezza e nei suoi limiti, e cerca di venirgli incontro e di essergli di aiuto. In questo modo, si realizza nella storia dell’umanità il fondamentale disegno del Creatore e viene alla luce incessantemente, nella varietà delle vocazioni, la bellezza - non soltanto fisica, ma soprattutto spirituale - che Dio ha elargito sin dall’inizio alla creatura umana e specialmente alla donna.[17] Ma anche altri testi dei Servi sottolineano questa dimensione della femminilità realizzata da Maria. È il caso ad esempio del ricco repertorio offertoci dalle Suppliche Litaniche a S. Maria.[18] Citiamo qui quattro testi che ci sembrano molto significativi all’interno dell’ottica che stiamo esaminando; si tratta delle preghiere conclusive di quattro schemi di litanie proposte. Litanie dei novizi Litanie bibliche Dio, Padre di consolazione e di pace, Padre, che nella Vergine Maria ci hai donato di generazione in generazione la madre della misericordia riveli il tuo amore per l’uomo: e l’avvocata dei miseri, ti ringraziamo perché, nella pienezza dei tempi, concedi a noi, tuoi servi, per mezzo della beata Vergine Maria, che, liberi da ogni egoismo e paura, ci hai donato Gesù, tuo Figlio e nostro Salvatore; ci dedichiamo con più fervido impegno concedici, ti preghiamo, lo Spirito di verità al servizio tuo e di tutte le creature. per scoprire negli avvenimenti della storia Per Cristo, nostro Signore. Amen.[19] i segni di speranza e di pace, per cogliere nelle vicende della vita i germi di libertà e di grazia. Per Cristo nostro Signore. Amen.[20]
Litanie a Maria figlia del nostro popolo Litanie a S. Maria di Monte Berico Padre, Signore, che ci hai dato nella Vergine Maria che hai mandato nel mondo una madre che ci conosce e ci ama, il tuo Figlio per salvare gli uomini accogli la preghiera e hai dato loro Maria come Madre che ti rivolgiamo in comunione con lei: di misericordia, rendici capaci di ascoltare la tua parola, ascolta benigno la preghiera dei tuoi servi, di contemplare la bellezza del creato, che nelle difficoltà cui li espone di cantare la tua lode, la condizione umana, di compatire il dolore dell’uomo. si affidano alla tua clemenza. Per Cristo nostro Signore. Amen.[21] Per Cristo nostro Signore. Amen.[22]
In questi testi troviamo, accanto a titoli tradizionali (come Mater misericordiæ), una precisa collocazione di Maria all’interno di un contesto carico di molti problemi, primo fra tutti quelle difficoltà che il peccato e la superficialità provocano, rendendo il mondo luogo di non pochi squilibri. Per far fronte a tale disordine ecco che si guarda alla Vergine Santa come a Colei che riassume tutte le potenzialità più alte dell’umanità in quanto creatura realizzata completamente e, al contempo, la creatura «che entrata intimamente nella storia della salvezza riunisce in sé in qualche modo e riverbera i massimi dati della fede».[23] Si tratta di un ritorno alla Creazione, si è detto, ma non nostalgico, quanto piuttosto reso forte dal preciso intento di liberarsi da ogni forma di schiavitù e di peccato. Ritorno alla Creazione (e di qui la contemplazione del creato) che è sinonimo di Alleanza rinnovata tra l’uomo e Dio, dialogo in cui Maria svolge un ruolo esemplare. Interessante, in merito come in MC 37, l’evento dell’Annunciazione sia posto in collegamento con la prerogativa della donna di poter partecipare alle scelte della comunità. In tal senso la donna diviene protagonista a tutti gli effetti di quella che è la vita sociale come lo è stata, attraverso Maria, della storia della salvezza. Il documento Servi del Magnificat al n. 85 contemplando l’episodio della Visitazione fa notare come lì gli uomini sono messi da parte in quanto protagoniste sono due donne. È il piano di Dio che va oltre la discriminazione operata dall’uomo. Parlare di piano di Dio e perciò di Rivelazione implica la categoria del dono: lo stesso Figlio di Dio è dono del Padre agli uomini e compendio/realizzazione della Rivelazione nonché umanità pienamente realizzata e nuova. La Costituzione pastorale GS al n. 22 vede in Cristo l’uomo nuovo che «svela all’uomo la sua altissima vocazione». Proprio soffermandosi su questa vocazione dell’unica umanità specificata nei due sessi è possibile restituire pienamente alla donna la libertà da schemi che l’hanno catalogata o discriminata nel corso del tempo. La liberazione e la restituzione di una dignità che è stata offuscata o non valorizzata vanno ricercate nella Rivelazione, nel piano di salvezza dell’uomo stabilito da un Dio che vuole la partecipazione di questa sua creatura posta al vertice della Creazione (cf. Sal 8). Ogni giusta rivendicazione da parte della donna deve prendere perciò le mosse non tanto da un discorso limitato al ruolo e alla funzione, ma al fine di esso e - in ottica cristiana - all’affermazione del Regno di Dio che coincide con la piena ed eterna realizzazione dell’umanità. In ultima analisi: un dono per un progetto. III. MARIA: DONNA E UMANITÀ REALIZZATA MA NON PASSIVA
In MC si fa cenno più volte alla situazione della Vergine Santa come creatura femminile esemplare e modello per il credente e figura della donna realizzata che propone nella sua fede il modo con il quale realizzarsi. Possiamo ritornare allora a quella categoria di dono alla quale abbiamo fatto cenno, in quanto tale categoria è molto utilizzata e presente anche nel pensiero non strettamente religioso come, ad esempio, filosofico. Questo carattere è evidente in MC 37 attraverso la menzione dell’evento dell’Annunciazione e della Visitazione in cui sono visti due elementi: la scelta coraggiosa dello stato verginale operata da Maria come anche la sua certezza nel proclamare il Dio d’Israele quale vindice degli oppressi, capace di rovesciare gli schemi umani dettati dal potere (cf. Lc 1,51-53). Al centro quindi abbiamo il Magnificat in cui troviamo la proclamazione delle opere di Dio (e di partecipazione ad esse) la preghiera gioiosa di Maria e il suo ritratto di donna che, al contempo, si è offerta e viene offerta a noi dal Padre. Qui appare il carattere di dono che, come tutto ciò che proviene da Dio, non può essere egoisticamente trattenuto: l’esempio ci proviene da Gesù stesso che in parole («gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date», Mt 10,8) ed in opere («...il quale non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo», Fil 2,6-7), percorre questa strada di offerta. Riprendiamo allora in considerazione il documento Servi del Magnificat in cui questa pagina orante e programmatica ci viene presentata come dono di Dio a Maria e di Maria a tutti noi. Cosciente della ricchezza di questo testo e della frequenza con la quale - tanto in Occidente quanto in Oriente - esso è pregato, il documento servitano ci ricorda come il Magnificat vada letto, interiorizzato e vissuto in quanto compendio di tutta una storia che va rivista con gli occhi della nostra esperienza.[24] Quindi il Magnificat ci appare una preghiera altamente impegnativa per chi vi è protagonista e per coloro che vi si accostano. Al n. 66 del documento l’impegno è ribadito nei seguenti termini: Il Magnificat è quindi parola che impegna tutto l’uomo: dall’udito scende nel cuore; dal cuore risale trasformata in canto alle labbra; parola che sollecita l’impegno fattivo dei discepoli di Cristo, che illumina i loro passi sulla via della santità e della giustizia.[25] Canto della Vergine Santa e canto dell’uomo immerso nelle cose di Dio e di esse testimone: in relazione al Magnificat accoglienza, meditazione, canto e vita nel loro insieme rappresentano la piattaforma sulla quale edificare tutta la vita cristiana nella quale la donna - attraverso Maria - riceve piena valorizzazione. Non si deve dimenticare come questo canto di liberazione si pone quale compendio di altri testi veterotestamentari in cui la donna è al centro.[26] Il ritorno alla categoria del dono così come ci viene presentata dalla Scrittura, in quanto categoria biblica, è utile al culto per operare la purificazione da «tutti quegli elementi caduchi, che finiscono per ingenerare atteggiamenti «devianti», indulgendo in espressioni di «vana credulità» e di «sterile sentimentalismo».[27] Un sentimentalismo che non solo è contestabile e deteriore per la sua a-storicità, ma che rischia di allontanare da una possibile ed auspicata adesione alla nostra fede coloro che si attendono da essa una risposta sul significato dell’esistenza umana in tutti i suoi costitutivi. Se la Rivelazione deve illuminare la nostra esistenza anche i personaggi che di essa sono stati i protagonisti più diretti - e dei quali la Scrittura e la Tradizione cristiana fanno menzione - devono essere avvicinati con tutta la loro ricchezza alle istanze emergenti oggi. Se questo vale per i santi, a maggior ragione, si impone per la Vergine che ha vissuto un’esperienza del tutto singolare. Proprio la nozione di esperienza ci deve far riflettere attentamente in quanto si tratta di un concetto importante del vivere da credenti. Esperienza che all’uomo è possibile non perché se la inventa o la trova nel quotidiano in prima persona, quanto perché proviene dall’iniziativa rivelativa di Dio che entra nell’umanità di uomini e donne per renderli partecipi della sua gloria. La preghiera è appunto questa esperienza: dell’uomo in Dio e di Dio nell’uomo e si traduce in un legame che non può ridursi a sentimentalismo, quanto piuttosto tradursi in scelte precise. Sono le scelte che derivano dal nostro essere in Dio, essere nel suo raggio di azione che non opprime, ma responsabilizza e invita all’azione in un’ottica di realizzazione e di compimento.[28] Ed è qui che possiamo riprendere il discorso su una sincera, efficace e concreta preghiera e devozione mariane che devono nutrirsi di quanto S. Scrittura e Tradizione offrono. Se pregare significa amare Dio vengono in mente le parole di I Gv 4,20 («Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede») che mostrano come la preghiera deve ispirare le scelte della vita quotidiana. In essa emergono i differenti problemi che gravano sulla nostra società: in tal senso l’uomo può riscoprirsi microcosmo all’interno di un grande microcosmo.[29] È quanto comprendiamo dal Magnificat, ma in generale da tutta l’esistenza della Madre di Dio ed è per questo che la preghiera - per essere robusta - non può limitarsi agli stereotipi che, pur avendo svolto egregiamente la loro funzione in un tempo/luogo determinati, restano limitati e inducono a certa ripetitività.[30] Se pregare e celebrare Maria significa mettersi in comunione con Lei e, insieme a Lei, rinsaldare i vincoli con Colui che è fonte di santità, la preghiera e la celebrazione non possono astenersi dall’accogliere - come detto - gli stimoli e le provocazioni che ci provengono dal contesto socio-culturale, affinché in relazione ad esso ci si ponga in azione. È possibile allora percorrere la strada della preghiera a Maria e con Maria per avere dinanzi tutta la concretezza dell’umanità realizzata che la Vergine esplica non con il dettare norme comportamentali, ma «nell’offrirci l’indicazione fondamentale sul modo di inserirci nell’opera salvifico-santificativa di Dio».[31] Se Maria proclama nel Magnificat, a più riprese, la centralità ed il trionfo dell’umiltà (la propria, come quella di coloro che non sono superbi) questo deve farci riflettere sulla dimensione di realizzazione che tale umiltà porta con sé. Sappiamo come essa provenga da humus = terra dalla quale è stato tratto l’uomo delle origini non ancora toccato dalla colpa. Umanità realizzata è appunto Maria e non a torto - anche se l’espressione può sconcertare ad una prima lettura - il teologo bizantino Nicola Cabasilas (+ fine XIV secolo) considera Maria come primo uomo perfetto e ciò in forza della fedeltà tipica di chi è creato a immagine e somiglianza di Dio e perfettamente rispondente al progetto originario della Creazione. Cabasilas nella sua Omelia sulla Nascita di Maria svolge un ragionamento complesso in cui si saldano protologia ed escatologia: La Vergine Tuttapura che non abitava in cielo, non proveniva dai corpi celesti, ma dalla terra come tutti i membri della stessa stirpe caduta che ignorava la propria natura, lei sola fra tutti gli uomini esistenti dal principio alla fine del tempo stette salda contro ogni malizia e restituì a Dio integra la bellezza da lui donataci, usando ogni potenza e ogni arma che aveva in serbo. Con l’amore di Dio, la forza del pensiero, la rettitudine dell’intenzione, la grandezza dell’animo vôlto in fuga ogni peccato, si eresse come trofeo incomparabile di vittoria. Con questo mostrò l’uomo, qual è per natura e mostrò Dio e la sua indicibile sapienza e quale sia il suo amore per gli uomini. (…) Solo l’uomo infatti, portando l’immagine di Dio, se mostra con purezza ciò che egli è senza l’aggiunta di alcunché di spurio, potrebbe veramente mostrare Dio stesso. E chi poté questo, avendo conservato splendidamente la qualità umana pura da ogni forma estranea, sola fra gli uomini che furono e quelli che saranno, è la beata Vergine.[32]
Il favore che Gesù mostra verso la donna lungo la sua esistenza esaltandone la condizione oppure rivelandosi a lei come nel caso della Samaritana (cf. Gv 4) non è altro che lo sviluppo logico di una Rivelazione che si è manifestata nei termini della creazione unitaria dell’uomo e della donna (cf. Gen 2,21-25) ed in quelli del suo ingresso nella storia come essere umano (cf. Lc 1,26-38). La Rivelazione non può lasciare l’uomo nel privato e meno che meno la donna che, guardando a Maria, trova appunto la via della realizzazione, non in forza di una ricchezza esteriore (e di un tipo di preghiera che gliela attribuisce) quanto piuttosto in virtù di una partecipazione alla società e alla storia che restano i luoghi dove Dio interviene e compie la sua azione. Fare dell’esistenza (personale e comunitaria) una celebrazione liturgica dell’unico Dio significa proclamare la realizzazione dell’uomo se, come è vero, diceva Ireneo che la gloria di Dio è l’uomo vivente.[33] Ma tale realizzazione non la si può assolutamente ottenere se non si tiene per fermo il discorso sull’interazione uomo-donna che formano l’unica creatura ad immagine e somiglianza di un Dio che, nella Scrittura, a tratti si mostra con tratti paterni e a volte con quelli femminili e materni.[34] Celebrare la Vergine Santa è perciò fare memoria di come la donna mantenga quell’autonomia della sua personalità e della sua funzione che va oltre un tipo di discorso legato solo alla maternità ma che la include in un più ampio ambito di relazionalità, non soltanto nei confronti dell’altro sesso, quanto piuttosto dei diversi aspetti che compongono la nostra realtà carica di non pochi problemi. È doveroso allora ringraziare la donna utilizzando le sintetiche ma profonde parole di Giovanni Paolo II al termine del n. 2 della sua citata Lettera alle donne: «Grazie a te, donna, per il fatto che sei donna ! Con la percezione che è propria della tua femminilità tu arricchisci la comprensione del mondo e contribuisci alla piena verità dei rapporti umani».[35] Comprensione del mondo ed apertura alla verità dei rapporti umani sono le coordinate che hanno reso la Vergine grande nella sua missione e nella sua persona. CONCLUSIONE Arrivati al termine di questa nostra riflessione possiamo sintetizzare alcuni aspetti. Nella sua vicenda terrena, Maria rappresenta non soltanto la risposta fedele dell’uomo a Dio, ma nel suo porsi come personaggio importante della storia della salvezza, offre una chiave di lettura particolare della realtà che la circonda. Come il Cristo, anche Maria vive un’esistenza segnata dalla difficoltà della condizione umana. Difficoltà - e in certo senso debolezza - che non è certo ascrivibile, nel suo caso specifico al peccato, ma è il complesso delle sofferenze, dei dolori e dei disagi che la stessa vita ci riserva. «Una creatura - ci dice ancora G. Piana - in carne ed ossa, soggetta alle lacrime, alla fatica, alla povertà, all’oscurità».[36] Tutto questo è concretezza di un’esistenza che non si rifugia nel misticismo indeterminato e disincarnante (alla maniera orientale extra-cristiana), ma esistenza di una persona che vive senza venir meno agli impegni e ai compiti. Per questo non può condurci a forme di preghiera staccate dal contesto in cui siamo calati che a nulla servono se non a impedirci di prendere seriamente coscienza e capacità di azione nei confronti del mondo. Fede che prega, opera e testimonia non possono essere disgiunte e noi le riceviamo - nella loro più alta espressione - da una donna alla quale Dio ha affidato gli albori della salvezza. Donna che vuole far conoscere questa salvezza: è il senso stesso dell’episodio della Visitazione.[37] Fede e carità di Maria ci aprono il cuore e la mente alla speranza di Cristo vincitore della morte e del peccato e vorrei concludere questo mio intervento proprio con testo liturgico che è ormai patrimonio dell’intera Chiesa. Si tratta della Colletta della S. Messa a Maria sotto il titolo di Madre della Santa Speranza: O Dio che ci dai la gioia di venerare la Vergine Maria, madre della santa speranza, concedi a noi, con il suo aiuto, di elevare fino alle realtà celesti gli orizzonti della speranza, perché impegnandoci all’edificazione della città terrena, possiamo giungere alla gioia perfetta, méta del nostro pellegrinaggio nella fede.[38] Elevarsi alle realtà celesti ed edificare la città terrena è quanto da Maria impariamo ogni giorno. Si attua perciò una reciprocità di direzione: dall’esempio della donna (Maria) verso l’umanità e dall’umanità il ritorno a Maria, modello di profonda comunione con il disegno di Dio. Una proposta che, se accolta, sigla la fusione armoniosa di vita e di culto. P. Luca M. Di Girolamo osm MARIANUM [1] A. LOBATO, Maria modello di donna: antropoanalisi della «Mulieris Dignitatem», in AA.VV., Come si manifesta in Maria la dignità della donna, Centro di Cultura Mariana «Mater Ecclesiæ», Roma 1990, 147. I corsivi sono nel testo. [2] Cf., R. LATOURELLE, Teologia della Rivelazione, Ed. Cittadella, Assisi 1986, p. 509. [3] GIOVANNI XXIII, Pacem in terris, in Enchiridion Vaticanum (= EV), Ed. EDB, Bologna 1979, II/19. [4] Cf., CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes (= GS), nn. 6-10, in EV, ed. cit., Bologna 1981, I/1332-1351. [5] Particolarmente significativo di questo eccesso è l’articolo di M. LATHAUS-REID, Il diritto della donna a non essere “normale”. Teologia chiesa e pornografia, in Concilium 28 (2002), 2, pp. 118-129. [6] «Femmes, ô vous qui savez rendre la vérité douce, tendre, accessibile, attachez-vous à faire pénétrer l’esprit du Concile dans les institutions, les écoles, les foyers, dans la vie de chaque jour. Femmes de tout l’universe, chrétiennes ou incroyantes, vous à qui la vie est confiée en ce moment si grave de l’histoire, à vous de sauver la paix du monde !», PAOLO VI, Messaggio conclusivo al Concilio, in AAS 58 (1966), 14. [7] GIOVANNI PAOLO II, A ciascuna di voi, n. 3, in EV, ed. cit., Bologna 1997, XIV/2904. Sugli echi e le ripercussioni della IV Conferenza di Pechino si veda il volume di F. ZAMBONINI-M. E. VASAIO, Oltre Pechino. Donne e Chiesa nel Duemila, Ed. Mondadori, Milano 1997. Le autrici organizzano il loro testo come dialogo a più voci avvalendosi di varie altre personalità di area cattolica e non sul significato che rivestì la grande assise di Pechino. [8] PAOLO VI, Marialis Cultus (= MC), n. 37, in EV, ed. cit., Bologna 1979, V/68. Un testo che riecheggia quello conciliare di DV 12. [9] PAOLO VI, MC, n. 34, in EV, ed. cit., Bologna 1979, V/65. [10] Una panoramica esaustiva dei documenti magisteriali conciliari e post-conciliari, sebbene non dettagliata è offerta da M. SODI, Maria «donna nuova» nell’eucologia romana attuale, in AA.VV., Come si manifesta in Maria la dignità della donna, 157-178. [11] CONCILIO VATICANO II, Sacrosanctum Concilium (= SC), n. 103, in EV, I/186. [12] CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium (= LG), n. 67, in EV, I/443. [13] Cf., CONCILIO VATICANO II, LG, nn. 60.62, in EV, I/432.436. [14] GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater (= RM), n. 48, in EV, ed. cit., Bologna 1989, X/1408. I corsivi sono nel testo. [15] Vigilia de Domina. Ufficio dei Servi a S. Maria. Editio typica, Curia Generalis OSM, Romæ 1980, p. 59 [16] Ibidem, p. 60. [17] GIOVANNI PAOLO II, A ciascuna di voi, n. 12, in EV, XIV/2928. [18] Suppliche litaniche a S. Maria. Editio typica. Curia Generalis OSM, Romæ 1988. [19] Ibidem, p. 144. [20] Ibidem, p. 149. [21] Ibidem, p. 160. [22] Ibidem, p. 169. [23] CONCILIO VATICANO II, LG, n. 65, in EV, ed. cit., I/441. [24] Cf., 210° CAPITOLO GENERALE DEI SERVI DI MARIA, Servi del Magnificat, n. 62, Ed. Servitium-Marianum, Sotto il Monte-Roma 1995. [25] Ibidem, n. 66. [26] Al n. 61 del documento Servi del Magnificat vengono nominate, nell’ordine, Myriam, Debora, Giuditta e Anna quali esempi di coraggio, di poesia e di profezia. [27] G. PIANA, Aspetti antropologici del culto mariano nella Marialis Cultus, in La Madonna 23 (1975/2-4), 19. [28] G. PIANA, Preghiera sorgente di decisione morale, in AA.VV., Problemi e prospettive di Teologia Morale, Ed. Queriniana, Brescia 1976, 275. [29] Il tema dell’uomo quale microcosmo appare in GREGORIO DI NISSA, In psalmorum inscriptiones, Tract. III, c. 3, in PG 44, 441 C. [30] Un aspetto sottolineato al termine di MC 36. [31] T. GOFFI, Panoramica sulla morale cristiana con attenzione a Maria, in AA.VV., Il mistero di Maria e la morale cristiana, Centro di Cultura Mariana «Mater Ecclesiæ», Roma 1992, 21-22. [32] N. CABASILAS, Omelia I sulla gloriosissima nascita della nostra santissima Signora Madre di Dio, 6, in ID., La Madre di Dio. Tre omelie mariane, Ed. Scritti Monastici - Abbazia di Praglia 1997, 71-72. [33] Cf. IRENEO DI LIONE, Adversus hæreses, IV,20,7: «Gloria enim Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei». [34] La presente tematica è stata molto studiata da C. Militello. In particolare si veda, ad esempio, C. MILITELLO, Il mistero di Maria. Il mistero della donna, in AA.VV., Come si manifesta in Maria la dignità della donna..., ed. cit., 69-84. [35] GIOVANNI PAOLO II, A ciascuna di voi, n. 2, in EV, XIV/2903. I corsivi sono nel testo. [36] G. PIANA, Aspetti antropologici del culto mariano nella Marialis Cultus, 21. [37] «Occorre lasciarsi spingere interiormente dal desiderio di far conoscere la buona notizia; occorre saper andare incontro ai fratelli e alle sorelle, perché a tutti giunga l’annuncio appropriato; occorre farsi piccoli per imparare la misericordia e aprire il proprio cuore a chi ha più bisogno del Signore», G. GROSSO, Con Maria figlia di Sion. In ascolto della Parola, Ed. Messaggero, Padova 2003. Sul tema della misericordia - tema indirettamente collegato con quello che stiamo svolgendo - si veda il recentissimo volume curato da P. DI DOMENICO-E. PERETTO, Maria Madre di Misericordia, Ed. Messaggero, Padova 2003. [38] CEI, Messe della Beata Vergine Maria, LEV, Città del Vaticano 1987, S. Messa n. 37: Maria Vergine Madre della Santa Speranza, Colletta I, 120.
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