MARIA NELLA COMUNITÀ DELLE ORIGINI CHE CELEBRA L'EUCARISTIA

«Erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, la Madre di Gesù» (At 1, 14)

Introduzione

Il punto di partenza per la nostra riflessione è ovviamente il breve, ma denso sommario di At 1, 14 L'unico testo del libro degli Atti in cui è nominata Maria, la madre di Gesù. In questa sintetica, ma preziosa annotazione manca però il riferimento esplicito alla celebrazione dell'Eucaristia. Nel sommario se­guente (2, 42‑48), inversamente, si parla ben due volte di «fra­zione del pane» (vv. 42.46), senza menzionare Maria.

La cosa che più stupisce è il silenzio sulla madre di Gesù in tutto il resto del libro degli Atti. Di qui la frequente, improvvi­da e talora tendenziosa conclusione della scarsa presenza della Vergine nelle comunità delle origini, come peraltro nei vangeli e in tutto il Nuovo Testamento.

Il preteso silenzio o reticenza delle Scritture circa la Vergi­ne Maria è in realtà un topos privo di fondamento, ma talmente diffuso nella mentalità corrente ‑ alla quale cedono non di rado anche biblisti, teologi e catecheti ‑ che è compito lungo e arduo tentare di sradicarlo. Il testo di At 1, 14 ci offre un esem­pio eccellente per dimostrare l'infondatezza di tale pregiudizio: nulla infatti di più breve e apparentemente trascurabile della breve nota di At 1, 14 nel contesto della seconda opera lucana. Un'annotazione alla quale spesso non si dedica che un sempli­ce accenno,[1] ma che a nostro avviso costituisce un riferimento prezioso. Il suo significato si dilata notevolmente all'interno della vita e della fede della comunità gerosolimitana delle origi­ni, che rappresenta il nucleo germinale della Chiesa neotesta­mentaria, al quale si è rivolta in ogni tempo la comunità cristia­na quando ha ricercato la sua primitiva identità.

Per comprendere la portata di At 1, 14: «Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui», si deve procedere per gradi: è necessario ambientare il testo nel suo contesto letterario e teologico, confrontandolo anzitutto con gli altri sommari dei primi capitoli degli Atti; esplicitare le forme ed i contenuti della preghiera della comunità gerosolimi­tana delle origini; verificare l'importanza dei primi due capitoli della seconda opera lucana e il loro significato programmatico in chiave retrospettiva ‑ in riferimento alla conclusione del vangelo (Lc 24, 44‑53) ‑ e in forma prospettica nei confronti del resto del libro degli Atti; riflettere sul significato del grup­po e dei diversi personaggi presentati in At 1, 13‑14; esaminare infine la dimensione «eucaristica» della preghiera di Maria quale emerge dal canto del Magnificat. Tutto questo ci permet­terà di apprezzare la posizione ed anche il compito della madre di Gesù all'interno della comunità neotestamentaria, che a par­tire dall'indomani della Pasqua rimane in comunione con il suo Signore in molti modi, anzitutto mediante la liturgia nella quale si ascolta la Parola e si spezza il pane.

1. Confronto con  i sommari di At 2, 42‑47; 4, 32‑35; 5, 12‑16.[2]

In base allo stile e alla terminologia, At 1, 14 appare un testo redazionale. Nonostante la sua marcata brevità, esso va annoverato tra quei brani ricorrenti negli Atti ‑ specie nella prima parte ‑, chiamati convenzionalmente «sommari».[3] Collo­cato al centro della pagina iniziale degli Atti, può essere consi­derato come il primo breve sommario: «un bilancio teologico e spirituale», dopo la presentazione degli avvenimenti successivi alla risurrezione di Gesù e in attesa del dono dello Spirito;[4] «un sommario sulla vita di preghiera della comunità e sulla sua costituzione».[5]

Secondo P. Benoit, i sommari sono «quadri d'insieme che dipingono in maniera generale dei tratti o atteggiamenti della comunità, di cui i racconti adiacenti forniscono illustrazioni particolari... sono veri quadri ricapitolativi circa la vita della prima comunità».[6] Essi costituiscono un campo privilegiato di ricerca delle intenzioni e della teologia dell'autore. È necessa­rio pertanto metterne in rilievo ogni dettaglio, alla luce del contesto e nel confronto con i sommari paralleli. Nell'ambito del presente studio, ci limiteremo ad accennare ad alcuni rap­porti che intercorrono tra il nostro testo e i sommari successivi, caratterizzanti la vita della comunità gerosolimitana delle origi­ni. È nota la parentela esistente tra questi brani, che presenta­no fenomeni letterari e teologici quasi identici, espressi con formule simili e complementari.[7]

All'interno di questa consonanza di fondo, i singoli testi contengono delle peculiarità, che è importante mettere in luce per poterli adeguatamente qualificare.[8]     

Il testo di At 1, 14 presenta con ogni evidenza due caratte­ristiche che lo segnalano nettamente: anzitutto la preghiera[9] u­nanime e perseverante, e poi l'indicazione dei membri che compongono la comunità primitiva.[10]

La prima nota, la preghiera, si trova ‑ in forma più articola­ta e insieme con altri fondamentali elementi ‑ nel sommario seguente (2,42‑47),[11] mentre non viene esplicitata ugualmente nei sommari successivi, i quali mettono in luce altri aspetti del­la comunità. Possiamo affermare che, partendo dal primo som­mario e procedendo verso gli altri ‑ nei primi cinque capitoli degli Atti ‑ si assiste a un movimento che va dalla vita interna della comunità primitiva alle manifestazioni più esterne e visi­bili di essa.[12]  «L'interesse del primo sommario è interamente rivolto alla vita religiosa ed interna dei primi credenti nella comunità ecclesiale».[13] At 2, 42‑47, pur sottolineando la di­mensione religiosa,[14] inserisce altre note, quali l'attività tauma­turgica degli apostoli, la comunione dei credenti, la condivisio­ne dei beni, la stima da parte del popolo e l'adesione quotidia­na di nuovi membri alla fede.

Il brano di 4, 32‑35 segnala elementi simili: la comunione dei cuori e dei beni, la forte testimonianza resa dagli apostoli al Risorto, la stima di cui tutti sono circondati.

L'ultimo dei sommari presi in considerazione (5, 12‑16) si colloca sulla stessa linea, mettendo in luce i prodigi operati dagli apostoli, lo stare insieme, l'approvazione del popolo, l'au­mento costante dei credenti, le numerose guarigioni.

La seconda nota ‑ la presentazione dei membri della comu­nità primitiva ‑ è una peculiarità del nostro testo, che, per quanto breve, appare singolarmente articolato. Gli altri somma­ri parlano in maniera generale della moltitudine dei credenti, della vita interna della comunità e dei rapporti con l'esterno; si soffermano in particolare sugli apostoli, i quali hanno la presi­denza della comunità, esercitano il ministero della parola (2, 42), operano guarigioni e prodigi (2, 43; 5, 12), rendono testi­monianza al Signore Gesù (4, 33)...; ma quei brani non infor­mano circa le diverse categorie di persone che compongono la comunità delle origini. At 1, 14, invece, accanto agli apostoli, pone delle donne, Maria la madre di Gesù e i suoi «fratelli». Alcuni di questi personaggi, non saranno più menzionati nel corso degli Atti, ma ormai sappiamo che fanno parte della comunità delle origini. Essi sono stati inseriti nel primo somma­rio con un duplice intento: mostrare la continuità degli Atti con la narrazione evangelica, e ricordare al lettore che essi hanno un ruolo non secondario nella comunità dei discepoli del Signore.

Ritornando alla preghiera, ricordiamo quel che tutti sanno, vale a dire che essa costituisce un leit‑motiv dell'opera lucana. Ai fini di questa nostra riflessione ci limitiamo a un breve accenno, circoscritto ai racconti dell'infanzia, pervasi di pietà giudaica[15] e dell'intensa spiritualità delle prime comunità post­pasquali. Il racconto inizia con una liturgia nel tempio di Gerusalemme, mentre «tutta la moltitudine del popolo era in preghiera fuori, all'ora dell'incenso» (Lc 1,10),[16] e si conclude con le scene della presentazione e del ritrovamento, inquadrate nel contesto di riti e celebrazioni liturgiche.

Insieme col culto ufficiale, viene sottolineata la pietà dei diversi personaggi, per alcuni tratti simile a quella che trovia­mo nelle prime pagine degli Atti. A Zaccaria viene rivelato che la sua preghiera è stata esaudita (1, 13); Simeone è presentato come «giusto e pio... e lo Spirito santo era su di lui» (2, 25); Anna «non si allontanava dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (2, 37); Maria, la madre di Gesù, per due volte (2, 19.51b) viene presentata in atteggiamento di  riflessione sapienziale: intenta a conservare e confrontare nel suo cuore[17] tutte le parole e gli eventi concernenti il Figlio.

La preghiera nei racconti dell'infanzia si esprime in maniera privilegiata nel canto, fatto di lode, ringraziamento, benedizione, esaltazione di Dio e della salvezza manifestata in Cristo. Ricordiamo il cantico di Maria (1, 46‑55), di Zaccaria (1, 68‑79), degli angeli (2, 14) e di Simeone (2, 29‑32); le lodi dei pastori (2, 20), di Elisabetta (1, 42‑45) e di Anna (2, 38). In Lc 1‑2 si respira effettivamente un clima che richiama quello delle comunità degli Atti, imbevuto di profonda spiritualità e di lode divina.[18]

2. Indeterminatezza ed apertura della preghiera in At 1, 14

A differenza di quanto avviene negli altri sommari, in parti­colare in 2, 42‑48, in cui viene offerto un elenco delle varie note della comunità e delle diverse forme di preghiera, in 1, 14 si parla in maniera indeterminata di orazione. Tale indetermi­natezza, però non esclude, anzi è aperta alle varie esperienze di preghiera, e in fondo postula ulteriori precisazioni.

In altri termini, la voce proseuch, di At 1, 14 può includere le varie esperienze di preghiera elencate in maniera dettagliata in 2, 42‑47, in cui la frazione del pane è messa in particolare rilievo (vv. 42.46) con riferimento sia all'agape fraterna, sia alla mensa eucaristica. Questa è il cuore della preghiera neotesta­mentaria, l'esperienza fondamentale e fondante della comunità cristiana, espressa a chiare lettere da Paolo: «... il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poi­ché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10, 17).

L'unione che caratterizza la comunità delle origini, pertan­to, è strettamente legato all'esperienza dello spezzare lo stesso pane che rende un solo corpo i partecipanti alla medesima mensa. Al centro della preghiera neotestamentaria c'è il memo­riale del Signore.

Tra i vari sommari esiste dunque una sostanziale conti­nuità: essi devono essere letti in maniera complementare e pro­gressiva. Si danno infatti importanti elementi comuni sia dal punto di vista letterario che tematico.

Tali elementi sottolineano anzitutto la dimensione comuni­taria di coloro che sono radunati nel nome di Gesù. I1 nostro sommario inizia con ou-toi pa,ntej: tutti costoro; 2, 42 si apre col semplice «erano», ma riferito a quelli che avevano creduto (v. 41); 4, 32 presenta la moltitudine dei credenti; 5, 16 parla di a[pantej. Dunque si tratta sempre della comunità di coloro che erano venuti alla fede. Essi già costituiscono la “Chiesa di Dio”,[19] radunata nello stesso luogo dall'intervento dello Spirito del Signore risorto.

La comunità cristiana non è una semplice assemblea, ma una comunità fondata sulla comunione dei cuori. La radice dello stare insieme è data dall'avverbio o`moqumado,n che ricorre insistentemente in 1, 14; 2, 46; 5, 12. In 4, 32‑35 non si ha tale avverbio, ma un'espressione che ne manifesta il profondo ed esatto significato: un cuor solo ed un'anima sola da cui scaturi­sce la koinwni,a (2, 42) della vita, di cui la condivisione dei beni è espressione conseguente. L'avverbio o`moqumado,n, derivato dai LXX,[20] è un vocabolo caratteristico degli Atti;[21] applicato alla comunità cristiana, esprime una forte connotazione religio­sa. Tale «accezione forte ed intensamente religiosa»[22] ricorre non solo nel nostro testo, ma anche nei sommari successivi, i quali proiettano ulteriore luce sul senso del termine e sulla pre­ziosa annotazione di At 1, 14.

In 2, 46 si conferma: «ogni giorno unanimi erano assidui nel frequentare il tempio»; in 5, 12: «tutti stavano unanime­mente nel portico di Salomone».

Il medesimo avverbio ricorre nell'introduzione alla preghie­ra, in 4, 24: «Essi unanimemente alzarono la voce a Dio...».

L'illustrazione più efficace di o`moqumado,n si ha in 4, 32 ove si afferma che “la moltitudine dei credenti era un cuor solo ed un'anima sola”. o`moqumado,n è divenuto, per così dire, un ter­mine tecnico, addirittura un'«espressione stereotipa della comunità».[23] In tale avverbio è condensato quanto Paolo richie­de a tutti i credenti: di acquisire una mentalità comune, affinché «unanimi (o`moqumado,n), con una sola bocca» glorifichino Dio (cf. Rm 15, 6). La concordia dev'essere così intensa da tendere a realizzare e manifestare l'unità voluta da Cristo (cf. Gv 17, 22). Ciò si compie, anzitutto nella preghiera e nell'Eucaristia. Ovviamente non si tratta di una comunione passeggera od occasionale: l'unanimità è perseverante, come perseverante è la preghiera che la sostiene.

L'altra nota della preghiera della pri­mitiva comunità, secondo At 1, 14, è la perseveranza. L'assi­duità, come l'unanimità, non ricorre soltanto nel nostro testo, ma anche in altri sommari: essa caratterizza la preghiera e la vita dei discepoli del Signore.

È noto il topos  lucano della preghiera insistente e continua,[24] ma, in maniera più ampia, la perseveranza è uno dei tratti carat­teristici della spiritualità lucana. Questo atteggiamento viene espresso in particolare con il verbo proskartere,w, che etimolo­gicamente significa «attaccarsi con forza a qualcosa»,[25] e manife­sta per conseguenza il senso di «essere costante, perseverante».[26] Su complessive dieci frequenze nel Nuovo Testamento, ben sei si trovano negli Atti, tre delle quali nei nostri sommari. Solita­mente il verbo ricorre in contesto liturgico, di preghiera e in genere religioso, come appare dai seguenti testi:

‑ At 1, 14: «Tutti costoro erano assidui concordemente nella preghiera. . .».

‑ At 2, 42: «erano assidui[27] nell'insegnamento degli Apostoli, nella koinonía, nello spezzare il pane e nelle preghiere».

‑ 2, 46: «Ogni giorno, assidui concordemente frequentavano insieme il tempio...».

‑ 6, 4: «Noi saremo assidui alla preghiera e alla diaconia della parola».

Se si riflette che il verbo proskartere,w, applicato alla pre­ghiera, non si trova mai nella lingua profana né nei LXX, biso­gna concludere che siamo di fronte a una creazione ad opera degli autori del Nuovo Testamento «e la sua frequenza rivela non solo uno stato di fatto nella Chiesa primitiva, ma anche un'esigenza apostolica... trattasi della traduzione apostolica del precetto del Maestro»[28] di pregare, sempre senza perdersi d'a­nimo (cf. Lc 18, 1; lTs 5, 17).

3. Il contesto  di At 1‑2

Non a caso Luca sottolinea la presenza di Maria all'inizio del vangelo e all'inizio degli Atti. I primi capitoli delle due opere di Luca, possono essere considerati rispettivamente come vangelo dell'infanzia di Cristo e della Chiesa.[29]

J.‑P. Charlier stabilisce un parallelismo piuttosto elaborato, ma in fondo convincente tra At 1,1‑2,13 e Lc 1‑2. La funzione di questi «racconti dell'infanzia» nei confronti del resto del vangelo e rispettivamente degli Atti, è molto simile. Lc 1‑2 rap­presenta una specie di microevangelo, una miniatura dove si trovano in abbozzo le grandi linee e i temi maggiori del vange­lo, ma in maniera velata e sottile. La stessa cosa si può dire per il «vangelo dell'infanzia della Chiesa». Luca vi ha enunciato, in una cinquantina di frasi, con grande varietà, le coordinate della sua ecclesiologia e le articolazioni principali della sua seconda opera.[30]

La densa  e concisa annotazione di At 1, 14 non può essere compresa, anche dal punto di vista sintattico, senza  i vv. 12‑13 che la introducono ed inquadrano.  Il lettore è invitato pertanto a considerare la breve pericope di At 1, 12‑14. Posta al centro del capitolo primo degli Atti, essa presenta molteplici motivi di interesse e funge da raccordo tra quanto si è detto nei vv. 4‑8 e l'evento di Pentecoste che sarà narrato nel capitolo secondo.

Se ogni testo dev'essere letto alla luce del contesto imme­diato e remoto, questa esigenza vale in particolare per At 1, 12­-14, che presenta un'ampia rete di relazioni e contatti.

Il v. 12: «Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli ulivi...» collega il testo non solo con la scena dell'a­scensione (9‑11) appena descritta, ma anche con il v. 4, nel quale il Risorto comanda agli apostoli di non allontanarsi da Gerusalemme.[31]

La formula perifrastica hoù ésan kataménontes del v. 13 richiama il verbo della medesima radice (periménein) del v. 4, che rivela anche il senso di quell'attesa, finalizzata alla “epangelía” del Padre, esplicitata nel v. 5 come «battesimo per mezzo dello Spirito».[32]

I legami non si limitano a quanto precede, ma si estendono anche ai brani seguenti: la necessaria ricostituzione del gruppo dei Dodici (vv. 15‑26),[33] dopo l'elenco degli Undici fatto nel v. 13, e soprattutto la venuta dello Spirito nel capitolo secondo. I1 v. 2, 1: «A1 compiersi del giorno di Pentecoste erano tutti insie­me nello stesso luogo» richiama certamente l'annuncio «fra non molti giorni» del v. 1, 5, ma suppone il ritorno degli Undi­ci a Gerusalemme, la salita alla stanza superiore e la preghiera unanime e assidua della comunità (vv. 12‑14). I legami della nostra pericope con i vv. 2,1‑4 appaiono piuttosto evidenti. Esiste anzitutto il rapporto di fondo: attesa‑compimento, ma anche una chiara continuità tra le due scene che presentano gli stessi personaggi, nello stesso luogo, con il medesimo atteggia­mento.[34]

I vv. 1, 12‑14 costituiscono in qualche modo un crocevia nell'articolazione del capitolo primo degli Atti e in rapporto all'evento di Pentecoste. Essi si giustificano a partire da un comando e da una promessa: comando di restare a Gerusalem­me (v. 4) e promessa dello Spirito (v. 8), in vista della testimo­nianza da rendere al Signore Gesù. La nostra pericope è in­scindibilmente legata a quanto precede e direttamente finalizzata al dono dello Spirito santo.

I collegamenti, tuttavia, vanno oltre il contesto  immediato, proiettandosi in un ambito ben più vasto. Com'è noto,  il capitolo primo degli Atti si presenta quale introduzione, che opera il raccordo tra il “tempo di Gesù” e il “tempo della Chiesa”. Esso garantisce la continuità tra il primo e il secondo libro di Luca ‑ come lo stesso autore afferma (vv. 1‑2)[35] ‑ ma al tempo stesso anticipa il programma di tutto il racconto degli Atti (v. 8).[36] Se in chiave prospettica, il capitolo primo introduce il con­tenuto ed anticipa lo sviluppo degli Atti, retrospettivamente ripropone la conclusione del primo libro di Luca.[37]  La parte finale del vangelo e quella iniziale degli Atti si presentano come pannelli di un dittico: si spiegano e si illuminano a vicen­da.[38] Si confrontino Lc 24, 44‑53 e At 1, 3‑14: in tutt'e due le sezioni si possono distinguere tre elementi paralleli:

‑ una «catechesi» del Risorto[39] agli apostoli[40] (Lc 24, 44.46­-47[41]; At 1, 3‑8), seguita da un incarico di testimonianza (Lc 24,48; At l, 8) e dall'annuncio dell'invio della «promessa del Padre» ‑ la «forza dall'alto» (Lc 24, 49; At 4, 4.S.8), in attesa della quale devono restare in città (Lc 24, 49; At 1, 4);

‑ il racconto dell'ascensione (Lc 24, 50‑52a; At 1, 9‑11).

‑ il ritorno a Gerusalemme e la vita della comunità (Lc 24,52b‑53; At 1, 12‑14).[42]

La seconda parte del capitolo primo degli Atti (vv. 15‑26),  anche se legata alla prima, appare molto diversa:[43] mentre At 1,3‑14 ripete, con delle variazioni, quanto è stato detto alla fine del vangelo, la seconda parte (vv. 15‑26) ha come oggetto la definizione del ministero apostolico (1, 21‑22), che giunge al termine del discorso di Pietro ai fratelli, e prepara l'aggregazio­ne di Mattia al collegio degli apostoli.

Nei vv. 12‑14 troviamo un gruppo ristretto di persone  insieme con gli Undici, nella scena successiva, invece, si parla di circa 120 persone, una comunità ben più vasta, interpellata per la scelta del dodicesimo apostolo. Ciò fa pensare che il gruppo descritto in 12‑14 sia il nucleo originario e fondamen­tale della primitiva comunità, al quale si sono aggiunti poi altri discepoli. Esso si trova in una posizione particolare nella Chie­sa delle origini. Di questo primo nucleo ecclesiale si occupa la breve, ma preziosa annotazione del  v. 14, oggetto della nostra riflessione.

4. Significato del gruppo di at 1, 13‑14

Finora si è parlato della comunità, della sua spirituale coe­sione e costanza nella preghiera. Indubbiamente At 1, 14 sottolinea l'unità dei primi credenti, ma evidenzia ‑ più che altri sommari ‑ l'articolazione della medesima. Il nostro testo, così breve, è il sommario più esplicito circa la composizione della comunità post-pasquale. È un punto di riferimento prezioso per la Chiesa di ogni tempo, che vi può ritrovare le coordinate fon­damentali della sua unità e della sua molteplice configurazione. In questo autorevole e programmatico testo, incentrato sugli apostoli, ma aperto ad altre presenze e ai diversi doni dello Spirito, le comunità cristiane potranno sempre ricercare l'ar­monia e l'equilibrio tra la missione apostolica e i diversi mini­steri e carismi di cui lo Spirito dota incessantemente i credenti. Vi potranno riscoprire, con sensibilità e in forme nuove, il compito della donna al servizio del vangelo e, in particolare, quello di Maria, la madre di Gesù.

Va ricordato che siamo di fronte a un testo redazionale, nel quale le intenzioni dell'autore si esprimono in maniera più diretta ed esplicita. Ogni elemento, per conseguenza, dev'esse­re  valutato con grande attenzione.[44] A questo punto ci sembra importante considerare i diversi personaggi che compongono la comunità apostolica, la «cellula germinale» della Chiesa neo­testamentaria.

4.1. Gli apostoli

Nell'opera lucana, com'è noto, il gruppo dei Dodici viene identificato con gli apostoli,[45] i quali sono ritenuti a titolo spe­ciale, in certo senso esclusivo, testimoni di Cristo.[46] Negli Atti essi sono i personaggi principali, garanti della continuità tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa.[47]

«Essi "non sono i primi d'una serie"; essi formano "un grup­po a parte", svolgente una funzione fondatrice e normativa, insostituibile e non reiterabile. Sulla loro testimonianza la Chiesa è stata fondata una volta per tutte e in questa testimo­nianza essa trova la norma definitiva della sua fede e della sua unità».[48]

Secondo la visione lucana, dunque, gli apostoli occupano una posizione unica nella Chiesa del Nuovo Testamento, in particolare nella comunità di Gerusalemme. Tale centralità emerge con evidenza in At 1, 14, considerato in se stesso e alla luce del contesto. Il soggetto esplicito del nostro breve somma­rio sono gli Undici («tutti costoro»), collocati all'inizio della frase, in posizione privilegiata e dominante. Gli altri personag­gi si aggiungono ad essi, condividendone la situazione e l'espe­rienza spirituale. Nel verso precedente gli Undici sono stati elencati ad uno ad uno, per nome;[49] con loro Gesù si era intrat­tenuto per quaranta giorni dopo la sua risurrezione; ad essi aveva promesso la potenza dello Spirito per la missione di te­stimonianza; di fronte a loro era stato assunto in cielo, avvolto nella nube della gloria divina.

4.2. Alcune donne

La presenza di donne, introdotte senza articolo definito e pertanto in maniera piuttosto generica in At 1, 14, pone dei problemi. Chi sono in realtà tali persone, qual è il loro compi­to, quale il significato della loro presenza nella comunità delle origini? I1 numero indeterminato di donne richiama piuttosto le discepole di Galilea ‑ menzionate dal solo Luca in 8, 2s ‑, le donne ricordate nella storia della passione e le prime testimoni della risurrezione (23, 49.55s; 24, 10.22‑24). La presenza tra gli apostoli di queste persone, che avevano seguito Gesù fino alla sua Pasqua, sono un segno ulteriore di quella continuità che Luca si preoccupa di stabilire tra il tempo di Gesù e quello della Chiesa. La comunità primitiva segue anche in questo l'e­sempio del Maestro, il quale aveva riservato un posto e compiti particolari alle donne nel servizio al vangelo. Esse, insieme con gli apostoli, sono chiamate a rendere testimonianza al Signore Gesù. Lo Spirito, che fra non molto discenderà su tutti i mem­bri della piccola comunità, radunata nella stanza al piano supe­riore, non farà alcuna distinzione tra uomini e donne, a diffe­renza di quanto avveniva in rapporto alla Torah.[50] Come spie­gherà Pietro, si verifica ormai ciò che era stato annunciato dal profeta Gioele: «Negli ultimi giorni, dice il Signore, / effon­derò il mio Spirito su ogni carne / e profeteranno i vostri figli e le vostre figlie...» (At 2, 17). L'appartenenza a Cristo, suggellata dal dono dello Spirito, fa cadere ogni discriminazione e realiz­za il progetto di umanità nuova formulato da Paolo: «non c'è più giudeo né greco, schiavo o libero, uomo o donna: tutti voi infatti siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). In At 1, 14 l'unità si realizza nella preghiera e nella vita di comunione in attesa dello Spirito. C'è già la premessa per una condivisione più ampia, in particolare per la partecipazione delle donne, a vari titoli, al servizio del vangelo, come ripetutamente verrà segna­lato nel libro degli Atti.[51]

4.3. Maria, la madre di Gesù [52]

Nel vangelo di Luca, Maria occupa un posto di rilievo, ma la sua posizione è singolare, quasi stralciata dalle altre figure femminili. Perché, ci si domanda, non viene annoverata tra di loro, eventualmente in prima fila, lei che in Luca è benedetta più !di tutte le donne? Come mai, inoltre, nei racconti dell'in­fanzia di Luca ella è in primo piano accanto a Gesù e poi nel vangelo quasi scompare: non viene nominata con le altre donne al seguito di Gesù, non è ricordata nella passione, né tra le testimoni del Risorto? E, analogamente, perché è presentata in questo primo importante sommario degli Atti ‑ e in maniera singolare, come non avviene per le altre anonime donne ‑ mentre in seguito non sarà più ricordata? Sono interrogativi che lasciano perplessi e inducono non di rado a posizioni con­trastanti: ad un'esaltazione perfino eccessiva della madre di Gesù oppure, al contrario, a trascurarla adducendo come mo­tivo la pretesa laconicità della Scrittura.

Certo ‑ come si è detto ‑ non è un caso che Luca parli di Maria nei racconti dell'infanzia e all'inizio degli Atti. I primi capitoli delle due opere di Luca, possono essere considerati rispettivamente come vangelo dell'infanzia di Cristo e della Chiesa. Essi appaiono diversi dalle parti che seguono: sono testi marcatamente teologici, posti all'inizio quasi come chiavi di lettura di quanto avverrà in seguito. Il fatto che la figura di Maria sia in particolare evidenza in questi testi e sottaciuta altrove, significa anche che la riflessione su di lei è avvenuta lentamente, in maniera progressiva e non uniforme nelle diver­se comunità neotestamentarie. In primo luogo, la fede aposto­lica e l'annuncio kerigmatico si sono concentrati sul mistero pasquale di morte e risurrezione (cf. 1Cor 15, 3‑4); in tale fase, ovviamente, non si parla di Maria, almeno in maniera esplicita. In un secondo tempo, la riflessione si estende al periodo della vita pubblica che va, secondo la testimonianza di At 2, 21‑22, dal battesimo di Giovanni fino all'Ascensione; in questo perio­do, Maria compare o viene nominata, ma occasionalmente (cf. Mc 3, 31‑34; 6, 3). Solo in seguito, a proposito della nascita e dell'infanzia di Gesù, la figura e il ruolo della madre sono messi in chiara luce. Questa è un'epoca più tardiva, nella quale la riflessione cristologica si è fatta più ampia e articolata ed ha convogliato tradizioni ed esperienze ecclesiali diverse; anche la figura di Maria acquista allora densità teologica: ella è la madre del Messia, discendente davidico e Figlio dell'Altissimo (Lc 1, 32); concepisce‑per opera dello Spirito santo (1, 35), viene salutata quale madre del Signore (1, 43), è benedetta per il frutto del suo grembo e proclamata beata per la sua fede (1, 42.45). È la serva esaltata dall'Onnipotente, colei che tutte le generazioni faranno oggetto di un macarismo senza fine (1, 48­-49). Tutto questo è posto all'inizio del vangelo di Luca (e in qualche misura anche di Matteo), ma è frutto di una riflessione più matura delle diverse comunità neotestamentarie. Solo in una fase più recente dello sviluppo della fede neotestamenta­ria, la figura e il ruolo di Maria sono state particolarmente svi­luppate. Il fatto, però, che subito nel primo capitolo degli Atti, agli albori della primitiva comunità gerosolimitana ‑ che avrà un influsso notevole sulle Chiese che man mano sorgeranno altrove ‑ accanto agli apostoli sia sottolineata la figura di Maria la madre di Gesù, mostra da una parte la continuità della sua presenza sulla base dei dati evangelici (anche se non particolarmente sviluppati al di là dei primi due capitoli) e in maniera prolettica annuncia la presenza implicita della madre di Gesù nelle comunità che sulla scia di quella di Gerusalemme sorge­ranno per l'opera e l'influsso dello Spirito.

Le varie chiese sono la presenza nel tempo e nello spazio della comunità radunata dallo Spirito intorno al Signore risor­to. Luca non ripeterà per ognuna di esse l'evento esplicito e grandioso di Pentecoste, né dirà che esse sono unanimi e con­cordi nella preghiera insieme con i Dodici, né sottolineerà con altrettanti sommari la vita delle comunità, né ripeterà che in quelle chiese è presente la madre di Gesù, ma dobbiamo ritenere che tali elementi sono impliciti. Il capitolo primo degli Atti costituisce in qualche modo una chiave musicale che ci permette di leggere ‑ ovviamente senza omologazioni ‑ l'intero spartito della seconda opera lucana.

Maria, la madre di Gesù, occupa un posto di rilievo, addirittura singolare in At 1, 14 quale madre di Gesù, il Signore risorto. Tale sua posizione e ruolo non permettono di associarla né alle altre anonime donne, né ai fratelli di Gesù che pure oc­cupano una posizione di rilievo nella comunità gerosolimitana.

Maria, nella visione di Luca, rivela una personalità non solo individuale, ma anche «corporativa»,[53] che ingloba in sé, in modo misterioso ma efficace, il popolo dell'alleanza ‑ come già Abramo ‑ a motivo della sua fede ed obbedienza.  È la figlia di Sion,[54] salutata nell'annunciazione con le voci dei profeti (cf. Sof 3, 14‑15; Zc 2, 14; 9, 9) e che a sua volta canta la splendida salvezza di Dio (cf. Lc 1, 46‑55). Possiamo dire che la sua immagine, senza nulla perdere della sua concretezza e individualità, è plasmata da Luca ‑ e ancor più dalla tradizione gio­vannea ‑ con categorie teologiche e simboliche.

Ella comunque si stacca dagli altri personaggi e si colloca in un ambito a sé. Questo potrebbe spiegare il fatto che Luca, in un testo conciso  ed  essenziale come  il nostro ‑ che introduce le donne in maniera generica e solo in conclusione ricorda i ­fratelli di Gesù  ‑ trovi il modo di citare Maria col proprio nome e col titolo peculiare di «madre di Gesù». Si tratta di una presentazione così esplicita che non può essere fortuita, tanto più che si trova in un sommario, in cui ogni particolare ha il suo peso.[55]  Non siamo di fronte a una semplice informazione storiografica, che sarebbe fuori luogo in quel contesto, ma  ad  un'annotazione che rivela indubbia valenza teologica e spirituale. L'autore intende mettere in luce la continuità tra il Gesù storico, nato per opera dello Spirito con la collaborazione di Maria e la nascita della Chiesa per opera del medesimo Spirito, con la presenza di Maria qualificata come madre di Gesù,[56] «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8, 29). Ella è madre di Colui che la comunità ha accolto nella fede come il Signore della gloria, di quel Gesù che elevato al cielo invia lo Spirito, e al quale bisogna rendere testimonianza fino agli estremi confini della terra.

In seguito, Maria non sarà più nominata, ma il capitolo primo degli Atti è programmatico per tutto il libro e per la vita della Chiesa. Alla luce di questo primo sommario, siamo invi­tati a contemplare Maria nella comunità dei credenti di ogni tempo. Ella è presente come madre di Gesù dovunque ci siano testimoni del Risorto, in qualunque luogo donne e uomini si radunino, insieme con gli apostoli, in attesa dello Spirito del Signore.

5. La preghiera di maria: memoriale-compimento-profezia

Della preghiera della Vergine abbiamo una sola testimo­nianza, ma privilegiata: il Magnificat nel quale echeggiano lo spirito e i motivi fondamentali della preghiera d'Israele e nel quale risuona anticipato il canto della Chiesa di Cristo, l'inno dei tempi escatologici. Nel Magnificat sono concentrati i moti­vi fondamentali della liturgia della comunità primitiva quale appare dai sommari degli Atti (specie At 2, 42‑47) e in partico­lare dal racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13‑35).

La preghiera di Maria si presenta anzitutto come memoria­le delle grandi cose compiute da Jahwè a favore del suo popo­lo. Il Magnificat infatti è memoria storica e attualizzata di quanto Dio ha operato per Israele. In Maria, la serva ‑ prota­gonista e portavoce del canto ‑ si possono riascoltare gli accen­ti di Israele, suo servo, finalmente visitato e consolato dal Signore.

Il canto della Vergine non è solo ricordo ed annuncio, ma compimento: in esso si celebra l'oggi della salvezza, un evento realmente compiuto nella Pasqua di Cristo che compendia e dà senso all'intera storia salvifica.

Tale evento centrale oltre che compimento di annunci, attese e promesse, è anche profezia dell'ultimo giorno, quando il Signore ritornerà trasformando radicalmente tutte le cose.

Il Magnificat, canto arcaico ‑ il più antico del Nuovo  Testamento, proveniente, col Benedictus, verosimilmente dal­l'ambiente giudaico palestinese ‑ si presenta come testo eminentemente liturgico, espressione della fede e della preghiera della comunità, che attinge pienezza nello spezzare il pane. In tale contesto, alla luce delle Scritture antiche si interpreta e proclama il mistero pasquale di Cristo: (Annunciamo la tua morte, Signore / proclamiamo la tua risurrezione) e si annuncia il ritorno finale del Cristo glorioso (nell'attesa della tua venuta).

La preghiera della Vergine costituisce una sintesi mirabile della preghiera della comunità gerosolimitana delle origini e soprattutto della liturgia della fractio panis. Il fatto che il Magnificat ‑ preghiera ecclesiale in qualche modo tipica ‑ sia stato messo sulle labbra della Vergine fa pensare che la comunità vedeva nella madre di Gesù la testimone privilegiata della storia della salvezza, di cui lo spezzar del pane costituiva l'e­spressione privilegiata e la sintesi sacramentale.

La presenza della Vergine acquista in tal modo densità par­ticolare nella comunità che celebra i misteri della salvezza, nella quale ella è presente come la madre di Gesù, il Risorto, oggetto della fede e del culto della Chiesa che nell'Eucaristia entra in comunione con il suo Signore.

6. La figura di maria

Consummatio synagogae:  Maria è il punto d'arrivo e il com­pimento dal punto di vista umano della fede e della spiritualità d'Israele. È la prima di quella schiera di umili e poveri portato­ri della speranza e delle promesse, di cui fanno parte personag­gi come Giovanni, Zaccaria, Elisabetta, Simeone ed Anna e tutti coloro che attendevano la consolazione d'Israele. È la Figlia di Sion dei tempi messianici, vergine, sposa del Signore e madre della comunità rinnovata dallo Spirito del Signore.

Sanctae Ecclesiae nova inchoatio: è la prima del Nuovo Te­stamento, colei che ha creduto ed ha generato il Salvatore per la potenza dall'Alto; è la serva del Signore e la madre del Signore...

Ella ha una posizione singolare agli inizi della Chiesa: lo Spirito che un giorno l'ha adombrata, a Pentecoste discende allo stesso modo sugli Apostoli costituendoli annunciatori e portatori di Cristo nel mondo. Come Maria, essi dovranno generare Cristo, il Signore. Si spiega così la presenza non certo occasionale di Maria quale madre di Gesù, il Risorto, nella pri­mitiva comunità gerosolimitana in attesa dello Spirito. Si com­prende allora perché in un sommario così breve e sintetico, ella sia presentata in maniera, per così dire, solenne ed ufficiale.

E celebrando il memoriale pasquale, la comunità neotesta­mentaria venera la Gebirah, la Regina madre del Signore risor­to.

Proclamando la salvezza, fino ai confini della terra, gli Apostoli annunceranno Gesù di Nazaret nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, generato dalla Vergine Maria, come avviene in Lc 1, 32s.35.

Nel resto degli Atti non si parlerà più di lei, ma la sua pre­senza nella comunità delle origini è prolettica a tutto il resto. In tutte le Chiese di Cristo si farà memoria della Madre, come   dirà la liturgia antica: celebrando i santi misteri «veneriamo anzitutto la gloriosa sempre Vergine Maria, madre di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo».[57]

CONCLUSIONE  BREVE

At 1, 14, pur nella sua laconicità, è un testo di notevole importanza. Certamente viene arricchito e precisato dai som­mari successivi, ma già in sé contiene elementi che lo qualifica­no e caratterizzano nettamente. Esso si segnala per la sua posi­zione e per i contenuti.

Grazie alla sua collocazione, At 1, 14 ha il pregio di essere il primo dei sommari, inserito nella pagina introduttiva degli Atti. Se ogni sommario astrae in qualche misura dagli episodi contingenti e ‑ interrompendo per un istante la narrazione ‑ si sofferma su caratteristiche ed atteggiamenti qualificanti la comunità, ciò è vero in particolare per questo primo brano, che intende presentarci l'immagine della Chiesa ai suoi albori, nella sua identità originaria.

La prima pagina degli Atti, lo ribadiamo, anticipa in qual­che misura il messaggio e lo svolgimento del libro; d'altra parte, riprende l'ultimo capitolo del vangelo lucano, vale a dire la sua conclusione.

Gli Undici formano dunque una comunità in preghiera, ma non sono soli, come non erano soli a Gerusalemme, dopo la risurrezione di Gesù (cf. Lc 24, 33). Evidentemente essi occupano una posizione di privilegio nella comunità delle ori­gini, ma con loro ci sono altre persone che ne condividono in misura e forme diverse i doni e il ministero. Questi personaggi non sono stati nominati antecedentemente, in quel che concer­neva il compito apostolico di testimoni ufficiali del Risorto, ma vengono presentati qui ‑ con la loro particolare fisionomia ‑ nella «chiesa» in preghiera, della quale fanno parte insieme con gli apostoli.

I sommari seguenti e lo sviluppo del libro degli Atti rivele­ranno altri importanti aspetti della vita dei credenti, ma in que­sto primo brano, concernente la comunità apostolica  ‑ cellula germinale della Chiesa del Nuovo Testamento  ‑  a Luca preme­va sottolineare la preghiera, meglio, mostrare la comunità in unanime, perseverante preghiera, insieme con Maria, la madre di Gesù. Di questa preghiera è espressione massima il memo­riale del Signore. Si tratta, ovviamente, di una testimonianza fondamentale con la quale, in ogni tempo, la Chiesa è chiamata a confrontarsi.



[1] La Bibbia TOB e La Bible de Jérusalem ‑ per citare due edizioni clas­siche, così prodighe di puntuali commenti ‑ non dedicano neppure una nota alla presenza di Maria accanto agli apostoli nella comunità delle origini, mentre invece accennano al gruppo dei fratelli di Gesù. Allo stesso modo si comportano i commentari, come quello di C M. MARTINI (Atti degliApostoli. Nuovissima versione della Bibbia, 7a ediz.) e di G. SCHNE1DER (Gli Atti degli Aspostoli, I, Paideia, Brescia 1985, p. 286), il quale si limita a segnalare che qui Maria è chiamata per nome come avviene di solito in Lc I‑II, a differenza di quanto si verifica generalmente nel resto del vangelo e degli... Atti (sic!).
Nella Bibbia Piemme, tuttavia, c'è una nota breve, ma interessante annotazione, aperta ad ulteriori sviluppi: quelli che qui vorrei esporre. La nota così si esprime: la presenza di Maria, accostata all'annuncio del batte­simo, in Spirito, serve all'autore per confrontare l'inizio degli Atti con l'inizio del Vangelo. In particolare il v. 8 (cf. Lc 1, 35) sembra assimilare la testimo­nianza degli apostoli alla gravidanza di Maria».


[2]
Questi sono i sommari principali e più noti: At 2, 42‑47, 4, 32‑35; 5, 12‑16, con i quali il nostro testo presenta evidenti contatti.


[3]
C. Ghidelli distingue tra sommari (quelli appena indicati), «notizie redazionali», in cui colloca il nostro brano, e «ritornelli», comprendenti brevi testi che intercalano la narrazione e «lasciano intravedere una struttu­rale unità di tutto il libro degli Atti» (C. Ghidelli, I tratti riassuntivi degli Atti degli Apostoli, in Il Messaggio della salvezza, V, Torino‑Leumann 1968, P. 140).


[4]
Cf. R. FABRIS, La presenza della Vergine al Cenacolo (At 1,14), in Marianum, 50 (1988) p. 404S.


[5]
G. SCHNEIDER, o.c., p. 273. Altrove Schneider annovera At 1,14 tra «le notizie minori in forma di sommario», come At 6, 7; 9, 31; 12, 24, 16, 5; 19, 20; 28, 30S (cf. ivi, p. 147, nota 10).


[6]
P.  BENOIT, Remarques sur les «Sommaires» des Actes  II, IV et V, in Exégèse et Théologie, II, Paris 1961, p. 181.


[7]
Non entriamo qui nella problematica circa la formazione e la redazio­ne definitiva di questi brani, che rivelano molteplici contatti, secondo alcuni rimaneggiamenti e concordismi anche maldestri. Per tali questioni rimandiamo in particolare a P. BENOIT, o.c, p. 181‑192, H. ZIMMERMANN, Die Sammelberichte der Apostelgeschichte, in Byzantinische Zeitschrilt, 5 (1961) p. 71‑82; HJ. DEGENHARDT, Lukas, Evangelist der Armen, Stuttgart 1965; E. HAENCHEN, Die Apostelgeschichte,

Gottingen 71977, p. 194‑197, 228‑231; 238‑241; E. RASCO, Actus Apostolorum. Introductio et exempla exegetica, PUG, Romae 1968, p. 271‑330.

Alle ricostruzioni parzialmente discutibili di Benoit, Zimmermann Degenhardt e di altri studiosi, fa da contrasto la posizione di Haenchen, ii quale attribuisce tutto all'attività redazionale di Luca. Su questa linea si col­loca anche Schneider (o.c., p. 147s. 396. 527). Più prudente e possibilista appare Rasco, il quale rinuncia alla identificazione precisa dei materiali tradizionali e redazionali.


[8]
Queste composizioni costituiscono «un prezioso e ricco polittico ‑ di cui ogni singolo sommario rappresenta un pannello di particolare interesse ‑ con il quale Luca ha delineato i vari aspetti della vita e della religiosità della chiesa primitiva» (B. PRETE, Il sommario di Atti 1, 13‑14 e suo apporto per la conoscenza della Chiesa delle origini, in Sacra Doctrina, 18 [1973] p. 90).


[9]
«La prière est la première action de l'Eglise au lendemain de l'Ascension (Actes 1, 14). Elle précède tout autre souci» (PH.‑H. MENOUD, La vie de l'Eglise nalssante, Neuchatel 21969, p 88).

[10] L'elenco dei membri della comunità radunata intorno agli Undici si trova solo nel nostro sommario: negli altri tre si parla di: «tutti i credenti» (2,44), «moltitudine dei credenti» (4, 32), «tutti» (5, 12).

[11] È da sottolineare l'importanza del v. 42, sia in se stesso sia in rappor­to ad At 1, 14. Collocato in posizione privilegiata ‑ subito dopo il grande discorso di Pietro e l'adesione alla fede di quasi tremila persone ‑ il v. 42 presenta una sintesi fondamentale della vita della comunità primitiva, sintesi che viene commentata nei  vv. seguenti (43‑47), e che costituisce un punto di riferimento decisivo per la Chiesa di ogni tempo.
Il v. 42 si trova, per così dire, in parallelismo con 1, 14: questo è inserito prima dell'evento di Pentecoste, quello in conclusione, tutti e due iniziano con la formula perifrastica ncav ~TpO~KC[pTEpOWTE5; ambedue si concentra­no sulla vita interna della comunità. Mentre però At 1, 14 si limita a sottoli­neare la preghiera in preparazione al dono dello Spirito, At 2, 42 presenta un quadro più completo della comunità radunata in conseguenza della Pen­tecoste. Secondo At 2, 42 la comunità ‑ posta sotto il segno della «perseve­ranza» (cf. anche l'«ogni giorno» del v. 46) ‑ è caratterizzata da quattro note fondamentali, raggruppate a due a due: l'insegnamento degli apostoli e la koinonia, la frazione del pane e le preghiere. In base a quesu tratti, i primi credenu si rivelano, in maniera privilegiata, quale comunità di preghiera, anzi comunità liturgica, e non solo per le ulume due note. La liturgia non si limita infatu alle preghiere e neppure alla celebrazione propriamente detta, ma inizia con la proclamazione della Parola (la didachè degli apostoli) e ‑ in conseguenza della celebrazione del «mistero» ‑ si conclude con l'impegno di vita dei credenti animato dalla carità (la koinonia).


[12]
Fermo restando quanto si è detto ‑ nella nota 22 ‑ circa At 2, 42


[13]
Cf. B. PRETE, o.c., p. 91.


[14]
Anzi, vi ritorna ripetutamente (2, 42.46.47), distinguendo le varie esperienze di preghiera e dl liturgia sia in casa che al tempio.


[15]
Qui e nella comunità di Gerusalemme, più che altrove, <d'esprit de la prière chrétienne est d'abord celui de la prière des pieux israélites qui main‑ ~ tiennent vivante en lcur coeur la grande tradition biblique» (J. DUPONT, Le 6Z discours de Milet, Paris 1962, p. 349).


[16]
Si noti il caratteristico linguaggio, che ritroviamo nei sommari degli Atti: la locuzione ridondante «tutta la moltitudine del popolo» (cf. At 2, 44.47; 4, 32; 5, 12.14), e la forma perifrastica rlv ... ~rpo~E~xóllEvov (cf. At 1, 13.14; 2, 42.46).


[17]
Un atteggiamento simile si può ravvisare in Lc 1, 66, riferito a tutti  coloro che udivano le cose straordinarie legate alla nascita di Giovanni.

[18] È significativo in tal senso, per es., il verbo criv~ che ricorre in Lc 213.20, a proposito della schiera celeste e dei pastori, e in At 2, 47, con riferimento alla comunità che celebra le lodi di Dio.


[19]
Anche se il termine «chiesa» compare ufficialrnente in At 8,1.



[20]
Nella Bibbia alessandrina il termine ricorre 36x ed è usato in partico­lare nel ]ibro di Giobbe (14x) e in quello di Giuditta (óx), per tradurre 1'e­braico yabad, yaLddw. Esso significa «insieme», quando si tratta di una folla, di una massa di gente (cf. At 7, 57); in base all'etimologia, il termine non indica soltanto un'aggregazione di persone, ma sottolinea il loro accordo, I'unanirnità; in particolare esprime la comunione fraterna dei credenti rac­colti in preghiera: è questo il senso particolare che il termine riveste negli Atti, un significato noto ai LXX e al giudalsmo (cf. Gdt 4, 12; Sap 10, 20; FILONE, vit. Mos. 1,72.


[21]
Vi ricorre lOx (includendo anche At 18, 12); nel resto del NT si trova soltanto in Rrn 16, 6, sempre in contesto religioso. Per il nostro studio inte­ressa ovviamente sottolineare la connotazione positiva di tale avverbio, che viene usato anche in senso negativo per esprimere il coalizzarsi degli avver­sari; «Mit o,uo0~pcroóv schildert Lukas in Apg 1, 14; 2, 46; 4, 24; 5, 12; 8, 6 die vorbildliche Einigkeit der Gemeinde, dagegen in 7, 57; 18, 12; 19, 29 die Einigkeit einer christenfeindlichen Menge» (E. HAENCHEN, o.c., p. 159, nota 4).


[22]
Cf. B. PRETE, o.c., p. 71.


[23]
H. W HELDEAND, GLNT, VIII, p. 521.


[24]
Cf. Lc 6, 12; 18, 1; 22, 44; At 12, 5.



[25]
Nei LXX, con significato fondamentalmente analogo, si trova in Gb 2, 9; Sir 2, 2; 12, 15; Is 42, 14; 2Mac 7, 17 e in particolare in 4Mac, dove, insieme col verbo, ricorrono anche il corrispondente sostantivo, aggettivo e avverbio. I1 composto ~rpoaK«pTEpÉm, ben più raro nei LXX, è presente in Nm 13, 20; Tb 5, 8 (S); Sus 6 (TH).
Nel NT KapTEpÉm si trova solo in Eb 11, 27, a proposito della fede di Mosè. Più frequente invece è 1rpoaKaprEpÉLo che viene usato lOx, per lo più negli Atti. I1 sostantivo ~rpoaKapTÉprlal; è usatò solo in Ef 6, 18.

[26] Questo significato viene marcato ulteriormente quando ‑ come in At 1, 14 ‑ il verbo è in forma perifrastica (4a«v 7rpoaK«pr~powTs`). Tale moda­lità, nel nostro contesto, ricorre piuttosto frequentemente: cf. At 1, 13: daav 1rpoaKapTepouvTes; 2, 2 paav K«8gll~vot; 2, 5: ha«v ... K«TOIKO0VTE`; 2, 42: nò«V ~ ~TpO3K«pT6pO~VTE5.
La coniugazione perifrastica con l'ausiliare essere e il participio presente ‑ che nella lingua ellenistica viene usata in maniera molto limitata ‑ nel NT ricorre per lo più in Luca e nella prima parte degli Atti (1‑13), ma anche nel vangelo di Marco. Tale formulazione, com'è noto, intende sottolineare la durata, la continuità dell'azione. Questo senso viene ulteriormente rafforza­to quando, come nel nostro caso, l'ausiliare è all'imperfetto, tempo che di per sé presenta tale caratteristica. L'espressione intende dunque attirare l'at­tenzione sullo stile di vita della comunità delle origini. Circa l'uso della coniugazione perifrastica in Luca, cf. E. HAENCHEN, o.c., p. 155s, n. 7 BBASS‑DEBRUNNER, § 353.


[27]
Tale forrnula presenta «un'intensa colorazione religiosa, che caratte­rizza in forrna incisiva la vita di questo gruppo» (B. PRETE, a.c., p. 70).


[28]
Ivi, p. 474s.


[29]
Cf. J.‑P. CHARELER, L'Evangile de l'enfance de l'Eglise. Commentaire deActes 1‑2, Bruxelles‑Paris 1966, p. 138‑140.


[30]
Cf. ivi, p. 139‑140.


[31]
Il cammino di un sabato (v. 12), che è di circa 2000 cubiti (~80 metri), non costituisce un cambiamento di luogo: non è un allontanarsi da Gerusalemme.

[32] Questo è anche il senso della parallela locuzione perifrastica del v. 14: noc~v ~rpOaKapTepOt>VTEg...


[33]
Si noti il OEt o3v... del v. 21: è una scelta che si impone perché già operata dal Signore ( cf. v. 24).

[34] Colpiscono le espressioni parallele:

1, 14: «tutti costoro erano perseveranti o,uoHt>paoóv/ 2,1: erano tutti opo1,nello stesso luogo»;

1,13: la stanza superiore Otù ~oav KaTa,uÉvovTEs / 2,2: la casa Ot) q/Jav KaOn­ pEVOt.

At 2,1 sembra dunque in rapporto con 1,13‑14 piuttosto che con 1,15. In At 2, 1.2b Luca ripete, variando parzialmente i termini, la notizia di 1, 13‑14 che pare sia stata redatta per servire d'introduzione alla storia della Penteco­ste. «In realtà, la lista di 1, 13‑14 costituiva la normale introduzione al rac­conto della Pentecoste; Luca l'ha separata, volendo riferire le circostanze dell'elezione del dodicesimo apostolo, ma questo episodio rappresenta sol­tanto una parentesi e in esso, la notazione delle 120 persone è, a sua volta un'ulteriore parentesi» (J. DUPONT, La prima Pentecoste cristiana (Atti 2,1­11), in ID., Studi sugli Atti degli apostoli, Roma 1973, p. 828).

[35] At 1,1‑2 richiarna in maniera estremamente concisa ed efficace tutto il contenuto del vangelo, dall'inizio dell'attività di Gesù fino alla sua ascen­sione.

[36] Il capitolo primo, con il suo prologo, rappresenta l'introduzione auna storia, quella degli Atti, che inizia con l'evento della Pentecoste e con il grande discorso inaugurale di Pietro.

[37] At 1,3‑11 ricorda quel che Gesù fece e disse dalla risurrezione all'ascensione, riproponendo il contenuto delle ultime pericopi di Lc 24.


[38]
«Dividendo la sua opera in due libri, Luca sa che deve accuratamente evitare di fare di questa divisione un'interruzione del racconto. Il procedi­mento raccomandato in questo caso è quello del cosiddetto "intreccio delle estremità": la finale del primo libro anticipa gli eventi del secondo, e l'inizio del secondo ritorna su ciò che era già stato riferito nel primo» (J. Dupont, La missione di Paolo secondo Atti 26, 16‑23 e la missione degli apostoli secondo Luca 24, 44‑49 e Atti 1, 8, in ID., Nuovi studi sugli Atti degli Apostoli,Cinisello Balsarno 1985, p. 406).

[39] La catechesi riguarda il passato e il futuro. In Lc 24, 44 Gesù ripren­de, attualizzandole, le parole rivolte loro prima del suo «esodo», secondo le quali è necessario (OEt) che si compiano tutte le cose scritte di Lui nella legge, nei profeti e nei salmi. Apre quindi la loro mente alla comprensione delle Scritture: si noti il parallelismo con l'episodio dei discepoli di Emmaus (vv. 25‑27) ai quali apre non la mente, ma le Scritture (v. 32). Nel v. 46 viene riproposto in maniera esplicita il messaggio degli annunci della passione (Lc 33 9, 22; 18, 31‑33), che adesso è divenuto Kerygma pasquale (cf. 1Cor 15,3‑4), ma con un'aggiunta significativa nel v. 47: che nel suo nome sia proclamata a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati (cf. Mc 13, 10, At 26, 23). Questi tre elementi: la passione, la risurrezione e la missione di  proclarnare la salvezza alle genti fanno parte degli annunci profetici concernenti il Messia (cf. Is 49, 6 ripreso in Lc 2, 3 ls; At 13, 47; 26, 23; 28, 28).

[40] Secondo il vangelo, l'istruzione si svolge alla presenza degli «Undici e quelli che erano con loro» (Lc 24, 33; cf. 24, 9). In At 1, 2 si parla in manie­ra chiara degli «apostoli che egli si era scelti per mezzo dello Spirito santo».

[41] In realtà, Lc 24, 44‑49 ‑ come osserva giustamente Dupont ‑ «non si presenta come un unico discorso, ma come due discorsi», introdotti rispetti­vamente dalla formula «E disse loro», e separati dalla notizia narrativa del v. 45 (cf. J. DUPONT, a.c., p. 406).

[42] Il ritorno a Gerusalemme è presentato con la medesima formula:  ~vircaTpetr«v 6tS IepovaaAq,u. Lc 24, 52 sottolinea la nota di gioia: pETaxaPà5 P6yáA~5, che forma inclusione con la grande gioia di Lc 2, 10, annunciata alla nascita di Gesù. Atti 1,12 non mette in rilievo la gioia, essa però si trova, in At 2, 46s, ove abbiamo anche una sintesi della vita liturgica della comunità primitiva.

[43] Cf. G. SCHNE1DER, Gli Atti degli Apostoli, I, Brescia 1985, p. 272, nota 2. I vv. 1, 15‑26 costituiscono un «intermezzo»: l'evento di Pentecoste si aggancia ai vv. 1,12‑14.

[44] Gli autori rilevano giustamente la grande differenza tra l'accuratezza del testo di At 1, 13‑14, nel presentare gli apostoli, le donne, Maria la madre di Gesù e i fratelli di lui, e la genericità del v. 15b, che si limita ad affermare, come per inciso: «da moltitudine di coloro che erano riuniti era di circa 120 persone».


[45]
Il concetto di apostolo, riservato ad essi, appare già in Lc 6,13, al momento dell'elezione: «...ne scelse dodici, che chiamò anche apostoli», pre­cisazione assente in Mc 3, 14. Questa identificazione è affermata con coe­renza da Luca: cf. Lc 9, 1.10, 17, 5, 22, 14 (diverso da Mc 14, 17); 24, 10; At 1, 2.26; 2, 37.42.43; 4, 33.35.36.37, 5, 12.18.29.40; 6, 6; 8, 1.14.18; 9, 27; 11, 1. Quando nel gruppo non vengono inclusi, rispettivamente, Giuda o Pietro (Lc 24, 9.33; At 1,26; 2, 14), si parla degli «Undici».

È vero che in At 14, 4.14 vengono chiamati apostoli anche Paolo e Bar­naba; in questi casi ‑ senza parlare di distrazioni dell'autore ‑ bisogna dire che Luca utilizza il termine «apostolo» in un'accezione più ampia. Si noti tuttavia che, secondo il testo occidentale, nel v. 14, è assente la qualifica «gli apostoli», che pertanto potrebbe non essere originale.

Si deve però osservare che, in base ai sinottici, non si può sostenere che Gesù, prima di Pasqua, abbia conferito ai Dodici ‑ in forma esclusiva ‑ il titolo di apostoli; ciò, quindi, vale anche per Luca (cf. J. DUPONT, Le nom d'Apótres a‑t‑il été donné aux Donze par Jés?~s?, Bruges‑Louvain 1956, p. 46s).

La stessa equazione: Dodici=apostoli non è propria di Luca: si trova anche in Ap 21, 14. «Essa riflette senza dubbio le idee dell'epoca successiva alla scomparsa dei Dodici e corrisponde naturalrnente a una certa tendenza a idealizzarli, tendenza di cui la redazione del terzo vangelo offre più d'un esempio significaúvo» (J. DUPONT, I ministeri della Chiesa nascente, in ID, Nuovistudi, p. 131‑132).


[46]
Solo eccezionalmente altri, diversi dai Dodici, vengono qualificati come testimoni: in At 22 15 e 26, 16 è detto «testimone» Paolo e in At 22, 20 Stefano. Per quanto riguarda Paolo, in particolare, bisogna dire che egli merita questo titolo, dal momento che i Dodici «hanno attuato solo l'inizio del programma che era stato assegnato alla loro attività di testimoni, mentre il resto è stato svolto da Paolo...: egli è testimone come loro, anche se non esattamente allo stesso titolo» (J. DUPONT, L'apostolo come intermediario della salvezza, in ID., Nuovi studi, p. 116). Per Luca «il vangelo non è più anzitutto un escatologico agire di Dio in virtù della risurrezione di Gesù, ma una trasmissione che deve risalire al Gesù terreno, dalla cui completezza e validità dipende tutto. Per lui, dunque, gli apostoli possono essere testimoni della risurrezione soltanto quando sono in grado di garantire anche la tra­smissione su tutto l'operato terreno di Gesù (1, 21)» U ROLOFF, Aposto­lat/Verbi~ndigung/Kirche. Ursprung, Inhalt und Funktion des kirchlichen Apostelamtes nach Paulus, Lubas und den Pastoralloriefen, Gutersloh 1965, p. 36). Il concetto di apostolo, nella visione di Luca, è caratterizzato «dal legame con la vita di Gesù, e dunque dalla sua unicità storica» (H. CONZEL MANN, Die M'tte der Zeit, Tubingen 51964, p. 201s, nota 2).


[47]
«Questi testimoni sono gli intermediari obbligati tra il Cristo vivo e gli uomini destinati ad aver parte alla salvezza realizzata dalla vita, morte e risurrezione di Gesù» (PH.‑H. MENOUD, Jésus et ses témoins. Remarques sur l'unité de l'ocuvre de Luc, in ID., Jésus‑Crist et la Foi. Recherches néotesta­mentaires, Neuchatel‑Paris 1977, p. 106).


[48]
J DUPONT, a c., p. 121.


[49]
All'inizio degli Atti, Luca ripete l'elenco degli apostoli ‑ già presentato nel vangelo (Lc 6, 14‑16), anche se con differenze nell'ordine dei nomi ‑ non tanto perché, come afferma Haenchen (o.c., p. 159 ), il suo secondo libro sarebbe apparso separatamente, ma piuttosto per introdurre ufficialmente i garanti della tradizione su Gesù e i testimoni autorevoli della sua risurrezione. Circa l'ordine seguito e le trasposizioni nell'elenco degli apostoli, si veda in particolare J.‑P. CHARLIER, L'Evangile de l'enfance de l'Eglise. Com­mentaire de Actes 1‑2, Bruxelles‑Paris 1966, p. 77‑81.


[50]
Nell'Alleanza nuova, tutti conosceranno il Signore, dal più piccolo al più grande (cf. Ger 31, 34).


[51]
Cf. At I2, 12; 16, ~ (cf. ITm l, 5; 3, 14‑~); 16, l4‑15; 21, 9).


[52]
Alla figura di Maria riserviamo un'attenzione particolare: sembra che ciò risponda alle intenzioni di Luca. Egli che aveva posto in notevole rilievo la madre di Gesù nei racconti dell'infanzia e poi l'aveva lasciata quasi in ombra nel resto del vangelo, la presenta nuovamente qui in posizione privile­giata, accanto agli apostoli, e in seguito non la nomina più. Ciò può apparire sconcertante. A noi invece sembra dhe la figura di Maria esca in qualche modo dal contingente per assumere una dimensione teologica e simbolica che la colloca nel cuore del mistero della salvezza e della comunità ecHesiale accanto agli apostoli primi testimoni della risurrezione di Gesù.


[53]
Cf. R KUGELMAN, The Hebrew Concept of Corporate Personality and Mary, the Type of the Church, in PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNA‑TIONALIS, Maria in Sacra Scriptura, vol. VI, Romae 1967, p. 179‑184.

[54] Cf. Lumen Gentium, 55. S. LYONNET, Chaire Kecharitoméne, (Lc 1,28), in Biblica, 20 (1939) p. 131‑141; H. SAHLIN, Jungirau Maria, Dottern  Sion, in Ny Kyrilig Tidsbrilt, 8 (1949) p. 102‑124; N. LEMMO, Maria «figlia di Sion», a partire da Lc 1, 26‑29. Bilancio esegetico dal 1939 al 1982, in Marianum, 45 (1983) p. 175‑258.

[55] «Ella è reclamata, si direbbe, dal ruolo di primo piano svolto nel van­gelo dell'infanzia. Nell'ora in cui nasce la Chiesa... era necessario che Maria fosse citata con il titolo per il quale dev'essere ricordata» (J.‑P. CHARLER, o.c., p. 76).

[56] Si osserv~no i significativi contatti tra Lc 1, 35: «Lo Spirito santo verrà ~ su di te / e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra» e At 1,8: ‑5 «riceverete potenza dallo Spirito che verrà su di voi». Tra i due testi così disposti è possibile scorgere anche un'ideale figura chiastica, che rafforza ulteriormente il parallelismo. Non è pertanto da escludere una «intenzionale rispondenza tra le due espressioni» (cf. G. SCHNE1DER, o.c., p. 279, nota 37).
Nella presenza di «Maria, la madre di Gesù» a Pentecoste, nel momento in cui ‑ secondo Luca ‑ viene effuso lo Spirito e nasce la Chiesa si potrebbe scorgere un certo parallelismo con la scena del Calvario di Gv 19,25‑27.30 ove da «madre» di Gesù ‑ nell'ora in cui egli «spirò» (v. 30) ‑ fu proclamata madre del discepolo amato. Resta comunque vero che lo spirito «trasmesso» (1rap~00K~v) da Gesù, quando «tutto è compiuto» (v. 30) è solo preludio all'effusione dello Spirito da parte del Risorto (Gv 20, 22; cf. 7, 39; 14, 26; 16,17.8).

[57] Canone Romano.

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